SUD SUDAN: PACE SIA DOPO DUE ANNI DI GUERRA
PACE
SIA… E IL TENTATIVO DEL NUOVO GOVERNO DEL SUD SUDAN DI FARE SEMBRARE PIÙ DI DUE
ANNI DI GUERRA UN VECCHIO RICORDO
L’indipendenza del Sud Sudan, ottenuta nel luglio 2011, dopo un conflitto durato più di 20 anni, ha soltanto segnato il riconoscimento ufficiale di questo nuovo stato africano, non certamente la pace nel paese.
Uno scontro tra l’allora presidente Salva Kiir e il suo vice Riek Machar, per un presunto colpo di stato architettato da quest’ultimo, ha portato il paese in una sanguinaria guerra civile iniziata nel 2013 e durata più di due anni: le cifre fornite dalle Nazioni Unite parlano di più di 50.000 vittime e almeno 2,2 milioni tra profughi e sfollati.
Il 26 agosto dello scorso anno, era stato siglato un accordo di pace messo in atto con difficoltà e non sempre rispettato almeno fino al 26 aprile quando, forse per le forti pressioni internazionali, Machar è rientrato nella capitale Juba e ha prestato giuramento come vice presidente del governo transitorio di unità nazionale previsto dall’accordo.
Durante il lungo conflitto che ha martoriato il Sud Sudan, sono state registrate violazioni dei diritti umani tra le più orrende al mondo, con l’utilizzo massiccio dello stupro come strumento di terrore e arma di guerra, ma anche utilizzato come paga per i combattenti. Numerosi i rapporti delle commissioni dell’Unione Africana (AU), dell’ONU e di varie organizzazioni per i diritti umani parlano di atrocità commesse da entrambi le parti.
In una lettera di Machar e Kiir pubblicata dal “New York Times” pochi giorni fa, il presidente e il suo vice hanno annunciato di volere creare una commissione nazionale “verità e riconciliazione”, prendendo a modello quanto fatto in Irlanda e Sud Africa.
L’accordo di pace siglato ad agosto aveva già stabilito la creazione di una commissione simile ma anche di un “tribunale ibrido”, indipendente, con a capo la commissione dell’UA, per indagare su possibili atti di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra.
Kiir e Machar, sempre nella stessa lettera, dichiarano che “il paese ha bisogno di verità, non di processi” e questa commissione rappresenterebbe l’unica strada verso la stabilità e l’unità del paese. Potrebbe tuttavia anche aprire le porte all’amnistia degli imputati.
Le reazioni non si sono fatte attendere e, secondo un’inchiesta condotta dall’organizzazione sud sudanese della società civile, SSLS, il 93% degli intervistati vuole vedere processati i responsabili delle atrocità commesse durante la guerra civile e ben l’83% chiede l’intervento internazionale.
La palla sembrerebbe ora passare nelle mani dell’AU che deve procedere alla costituzione del Tribunale Ibrido. Non dimentichiamo che recentemente l’organizzazione africana ha dato prova di sé condannando all’ergastolo Hissène Habré – dopo meno di un anno di processo – per i crimini contro l’umanità da lui commessi durante la sua dittatura in Ciad tra il 1982 e 1990. Si tratta sicuramente di un precedente che fa paura a Kiir e Machar i quali preferiscono tentare la strada della riconciliazione.
Uno scontro tra l’allora presidente Salva Kiir e il suo vice Riek Machar, per un presunto colpo di stato architettato da quest’ultimo, ha portato il paese in una sanguinaria guerra civile iniziata nel 2013 e durata più di due anni: le cifre fornite dalle Nazioni Unite parlano di più di 50.000 vittime e almeno 2,2 milioni tra profughi e sfollati.
Il 26 agosto dello scorso anno, era stato siglato un accordo di pace messo in atto con difficoltà e non sempre rispettato almeno fino al 26 aprile quando, forse per le forti pressioni internazionali, Machar è rientrato nella capitale Juba e ha prestato giuramento come vice presidente del governo transitorio di unità nazionale previsto dall’accordo.
Durante il lungo conflitto che ha martoriato il Sud Sudan, sono state registrate violazioni dei diritti umani tra le più orrende al mondo, con l’utilizzo massiccio dello stupro come strumento di terrore e arma di guerra, ma anche utilizzato come paga per i combattenti. Numerosi i rapporti delle commissioni dell’Unione Africana (AU), dell’ONU e di varie organizzazioni per i diritti umani parlano di atrocità commesse da entrambi le parti.
In una lettera di Machar e Kiir pubblicata dal “New York Times” pochi giorni fa, il presidente e il suo vice hanno annunciato di volere creare una commissione nazionale “verità e riconciliazione”, prendendo a modello quanto fatto in Irlanda e Sud Africa.
L’accordo di pace siglato ad agosto aveva già stabilito la creazione di una commissione simile ma anche di un “tribunale ibrido”, indipendente, con a capo la commissione dell’UA, per indagare su possibili atti di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra.
Kiir e Machar, sempre nella stessa lettera, dichiarano che “il paese ha bisogno di verità, non di processi” e questa commissione rappresenterebbe l’unica strada verso la stabilità e l’unità del paese. Potrebbe tuttavia anche aprire le porte all’amnistia degli imputati.
Le reazioni non si sono fatte attendere e, secondo un’inchiesta condotta dall’organizzazione sud sudanese della società civile, SSLS, il 93% degli intervistati vuole vedere processati i responsabili delle atrocità commesse durante la guerra civile e ben l’83% chiede l’intervento internazionale.
La palla sembrerebbe ora passare nelle mani dell’AU che deve procedere alla costituzione del Tribunale Ibrido. Non dimentichiamo che recentemente l’organizzazione africana ha dato prova di sé condannando all’ergastolo Hissène Habré – dopo meno di un anno di processo – per i crimini contro l’umanità da lui commessi durante la sua dittatura in Ciad tra il 1982 e 1990. Si tratta sicuramente di un precedente che fa paura a Kiir e Machar i quali preferiscono tentare la strada della riconciliazione.
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