‘TWO IS BETTER THAN ONE’: POLIGAMIA PRESIDENZIALE IN KENYA
DA UNA PARTE KENYATTA, RICONFERMATO NELL'OTTOBRE SCORSO, DALL'ALTRA ODINGA, CHE SI È AUTO-PROCLAMATO DURANTE UNA CERIMONIA TENUTASI IL 30 GENNAIO A NAIROBI
Non tutti i Paesi hanno un presidente: alcuni ce
l’hanno ad interim, altri ‘per la vita’, altri ancora non lo scelgono ma se lo
fanno imporre da interessi poco politici, ma tanto economici; però, un paese
con ben due presidenti, beh, è una cosa mai vista. Eppure il Kenya, uno dei Paesi africani più
cresciuti economicamente negli ultimi anni, ha da martedì 30 gennaio 2018 ben
due presidenti.
A dire il vero, uno dei due, Raila Odinga, si è
auto-proclamato durante una cerimonia tenutasi il 30 gennaio scorso nel parco
Uhuru di Nairobi, affermando che le votazioni di agosto 2017, annullate per
irregolarità, lo avrebbero riconosciuto vincente; l’altro presidente ha, a
quanto pare, le carte in regola: l’uscente Uhuru
Kenyatta è stato infatti riconfermato capo dello stato del Kenya
nelle rielezioni del 16 ottobre 2017.
Ovviamente il giuramento di Odinga è stato ostacolato
e impedito in vari modi – mancanza di permesso per l’accesso al parco, chiuso
per lavori di sistemazione, accusa di tradimento contro Odinga, ecc. La polizia
aveva anche dichiarato che se fosse stato necessario avrebbe usato la forza
contro Odinga e i suoi sostenitori. La tensione era palpabile e la città era
praticamente deserta il giorno del giuramento.
Il leader dell’opposizione ce l’ha comunque fatta e la
cerimonia, durata meno di 10 minuti, si è regolarmente svolta anche se la
polizia ha usato il gas lacrimogeno per disperdere la folla. Non si hanno
tuttavia notizie di morti o feriti gravi.
In quel breve lasso di tempo, Odinga ha pronunciato le
frasi di rito con la Bibbia in mano e ha quindi assunto «l’incarico di presidente del popolo della Repubblica del Kenya»,
fra acclamazioni di migliaia di sostenitori.
Questa cerimonia è stata una palese sfida al governo
keniota che ha dichiarato il Movimento nazionale di resistenza guidato da
Odinga un ‘gruppo criminale’, aprendo così la strada a possibili arresti che
sono quasi subito scattati.
A pochi giorni di distanza dalla manifestazione, sono
stati infatti arrestati i parlamentari Tom
Kajwang e George Aladwa –
al dire del portavoce della polizia, quest’ultimo è stato solo interrogato e
nulla sa della sua detenzione – ed infine l’avvocato Miguna Miguna, rilasciato dopo il
pagamento di una cauzione. Tutti fanno ovviamente parte dell’entourage di
Odinga.
Per evitare di dare notizia della cerimonia, sono
ancora oscurati quattro canali televisivi, causando inevitabili danni
economici. La Corte Suprema ha ordinato il loro ripristino, ma il Governo ha
dichiarato che rimarranno oscurate finché le autorità non avranno accertato
‘serie violazioni alla sicurezza’ con la trasmissione di immagini che
mostravano persone in attesa di partecipare al giuramento di Odinga.
Non sono nemmeno mancati atti di rappresaglia contro
l’opposizione. Sono stati sparati colpi di arma da fuoco e una granata ha
colpito la residenza di Kalonzo
Musyoka, leader del movimento democratico ‘Wiper‘
che fa parte della coalizione di opposizione NASA. Lo ha dichiarato lo stesso
Musyoka al corrispondente di ‘Associated Press‘ e
lo ha confermato il portavoce della polizia.
Le tensioni stanno pian
piano crescendo ma le reazioni a livello internazionali sono poche e molto
contenute: il
Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha dichiarato che Kenyatta va
riconosciuto come presidente perché uscito vincente alle elezioni convalidate
dalla Corte Suprema e ha invitati le parti a trovare un accordo. Ha tuttavia
fermamente condannato la chiusura delle reti televisive. L’Unione Europea ha
parlato di rispetto della legge che va applicato anche al riconoscimento di
Kenyatta mentre l’Agenzia delle Nazioni Unite per i diritti umani, nel puntualizzare il concetto di
rispetto della legge, ha anche incluso la libertà di espressione, associazione
e di assemblea.
Da parte africana, il giuramento di Odinga è stato
aspramente criticato dall’Unione Africana. Sembrerebbe trattarsi tuttavia di
una scelta non tanto intesa a sostenere Kenyatta, quanto a evitare altre
tensioni e scontri in uno dei Paesi dell’Unione.
Le prossime settimane saranno molto importanti per
valutare l’impatto di questa netta spaccatura tra il Governo e l’opposizione
che ha diviso il paese, se non proprio a metà, comunque in due.
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