NIGERIA E LA QUESTIONE BIAFRA

NON SOLO BOKO HARAM: CONOSCERE LA NIGERIA E LA SUA STORIA “ARTIFICIALE” PER CAPIRE IL PERCHÉ DEI POPOLI IN FUGA


Sono passati 523 giorni, esattamente 1 anno e 158 giorni, da quando gli uomini di Boko Haram hanno rapito le giovanissime studentesse di Chibok, cittadina dello stato di Borno a nord-est della Nigeria. 
276 ragazze sono state rapite la notte tra il 14 e il 15 aprile 2014, 57 di loro sono riuscite a fuggire ma della sorte delle altre non ci è dato sapere. Altri sono stati i rapimenti compiuti da questo gruppo terroristico il cui nome significa "l’educazione occidentale è vietata”, dando così una forte ed immediata connotazione anti occidentale al suo operato. Amnesty International stima che dall’inizio del 2014, oltre all’uccisione di 5.500 civili, si contano almeno 2.000 donne e ragazze rapite, molte delle quali sessualmente abusate e usate per attacchi bomba comandati a distanza.
Il rapimento delle ragazze di Chibok è stato il primo ad essere portato all’attenzione mondiale con una vasta campagna mediatica, “Bring Back our Girls”, per la loro liberazione. È del tutto naturale che una delle promesse in campagna elettorale del nuovo presidente Muhammadu Buhari era stata proprio la liberazione delle ragazze e la lotta agli estremisti che dal 2009, quando sono iniziate le loro azioni, hanno fatto registrare 15mila vittime nella sola Nigeria ed ora stanno coinvolgendo anche Ciad e Camerun. Gli interventi del presidente sono stati pressoché immediati e i risultati non sembrano essersi fatti attendere. È di questi giorni la notizia della liberazione di 178 ostaggi, di cui 101 sono bambini, 67 donne e 10 uomini. Nel blitz è stato catturato anche un comandante del gruppo terroristico. Altri 90 prigionieri, in maggioranza donne e bambini, erano stati portati in salvo la settimana precedente. Nessun riferimento è stato tuttavia fatto alla alle ragazze di Chibok. 

Durante il suo incontro a luglio con il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, Buhari è riuscito non solo a ristabilire rapporti con gli USA ma anche ad ottenere un sostegno economico alla lotta contro Boko Haram. Delle ragazze rapite Buhari ha parlato anche nella sua visita ufficiale in Francia ad inizio settimana, quando ha ribadito quello che aveva dichiarato un mese fa e cioè di essere disposto ad offrire l'amnistia ai detenuti dell'organizzazione terroristica nigeriana rinchiusi nelle prigioni del paese in cambio della liberazione delle studentesse. Il presidente nigeriano rimane molto ottimista sull’esito della situazione, parlando addirittura della sconfitta dei terroristi entro fine anno.
C’è tuttavia un punto di cui Buhari evita di parlare, o meglio, di cui parla solo tramite i portavoce: la questione Biafra, l’insieme delle province a sudest della Nigeria, di etnia Igbo (o Ibo) e di religione prevalentemente cristiana, che avevano tentato la secessione ma furono riannesse alla Nigeria nel 1970 dopo tre anni di guerra sanguinosa. Le cifre non sono precise ma si parla di 1 a 3 milioni di morti. La memoria di questo conflitto in Occidente è l’immagine di bambini magrissimi con lo stomaco rigonfio e il nome “Biafra” che riecheggia a tavola quando avanza cibo nel piatto.
Molti Igbo sono emigrati durante la guerra, un milione circa, e gran parte degli attuali profughi della Nigeria fanno parte di questo gruppo etnico. Un trentaquattrenne nigeriano che vive a Udine con la moglie, ad esempio, non ha visto la guerra ma ricorda che la sua famiglia, insediata a Maiduguri, capitale dello stato di Borno, era stata decimata durante il conflitto. Lui ha cercato fortuna in Europa dove è giunto nel 2008 “via mare”. Qui dice di essere felice perché “là c’è la paura”. Quando gli viene chiesto cosa pensa del presidente Buhari, le sue risposte fanno eco alle rivendicazioni del movimento pacifista per l’attualizzazione dello stato sovrano del Biafra (MASSOB), impegnato a portare avanti la “questione Biafra”: il governo nigeriano è sempre retto da appartenenti ad altri gruppi etnici, quali gli Hausa, Fulani e Youruba. Gli Igbo ritengono di essere stati discriminati da chi è al potere ad Abuja e rivendicano ovviamente l'indipendenza della regione.
Non è bastato insomma a Buhari nominare a capo della compagnia petrolifera nigeriana, la Nigerian National Petroleum Corporation (NNPC), un Igbo, Emmanuel Ibe Kachikwu. Le manifestazioni non mancano mai e sempre prontamente represse. Uno scontro a fuoco tra manifestanti “pro Biafra” e polizia nella città di Onitsha nello stato di Anambra, ha provocato ad inizio mese sei vittime – 5 dimostranti e un poliziotto – e un numero imprecisato di feriti. Il portavoce del Presidente ha sdrammatizzato la questione, definendo i manifestanti "un insignificante numero di persone frustrate che non rappresentano una minaccia per la Nigeria".
Buhari deve anche sopportare l’accusa di avere preso parte a massacri durante la guerra del Biafra ed è stato accusato di tentare di ‘islamizzare‘ il sud del paese dopo che iniziarono a circolare alcune voci secondo cui membri del gruppo terroristico Boko Haram erano stati trasferiti da una prigione del nord ad un’altra nello stato di Anambra, nel sud della Nigeria. Il Governo ha prontamente smentito il fatto. Pare avesse anche interrotto le trasmissioni di Radio Biafra, con sede a Londra, definita illegale e non autorizzata a trasmettere in Nigeria.

Una dichiarazione, sempre del portavoce del Presidente, ha garantito “l’assenza di sentimenti anti igbo” di Buhari. La stazione radio continua comunque a trasmettere.
È inevitabile che, come in gran parte di paesi africani nati da una divisione arbitraria del territorio, si mescolano gruppi etnici diversi. Ma la questione Biafra va al di là delle differenze etniche che vedono contrapporsi cristiani e musulmani. La Nigeria è il primo produttore africano di petrolio e il dodicesimo su scala mondiale, con circa 2 milioni di barili di petrolio prodotti al giorno. Perdere il sud, dove sono concentrate le riserve petrolifere, significa rinunciare all’80% della fonte di reddito del paese.
Il petrolio è anche il motivo di altri scontri nel sud del paese. Se le rivendicazioni del MOSSOB riguardano il riconoscimento degli Igbo, negli anni ’90 si fa strada una progressiva affermazione delle associazioni legate alla salvaguardia dell’ambiente e ai diritti delle popolazioni del Delta del Niger. Capofila di tali gruppi è il Movimento per la Sopravvivenza del Popolo Ogoni (MOSOP), che va dritti al problema dell’iniqua allocazione delle risorse, chiedendo in particolare risarcimenti e sistemi di monitoraggio dell’inquinamento e delle estrazioni. La risposta è sempre la repressione che, come nel caso del Biafra, non pone tuttavia fine alle rivendicazioni.
Non pochi i problemi che il neo presidente Buhari deve affrontare ma il cruccio maggiore riguarda sicuramente la gestione della res economica intaccata da numerosi denunce di corruzioni con sottrazione di fondi della NNPC. Tema scottante, confermato dal giovane nigeriano intervistato, che, pur non sostenendo Buhari, dichiara che “vuole sistemare tutto ma non può perché è circondato da corrotti, come Goodluck Jonathan, il suo predecessore”.

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