SUDAN, LA GUERRA INFINITA IN DARFUR
Il rapporto di Amnesty International pubblicato ad ottobre ha denunciato l'uso, da parte delle forze sudanesi, di armi chimiche contro i civili nel territorio del Darfur, vasta regione situata nella parte occidentale del paese. Sarebbero stati condotti almeno 30 attacchi nella zona di Jebel Marra dove sarebbero morte almeno 250 persone da gennaio a oggi.
Il rapporto si basa su informazioni fornite da riprese satellitari – ristretto è infatti l’accesso alla zona per diplomatici, operatori umanitari e giornalisti –, testimonianze dei sopravvissuti e dall'analisi di immagini di bambini con terribili ferite. Come c’era da aspettarselo, gli attacchi sono stati puntualmente negati dal presidente sudanese Omar Hassan al-Bashir, destinatario peraltro di due mandati di arresto internazionali per crimini di guerra e contro l’umanità riferiti ai massacri nel Darfur.
Il Darfur è dilaniato da più di 10 anni di guerra che hanno causato la più grave crisi umanitaria al mondo. A pagarne il prezzo più caro ovviamente la popolazione civile. Dopo un primo accordo di pace siglato nel 2008, un secondo nel 2010, il conflitto è ripreso incessante a partire dal 2013. L’ONU è presente dal 2007 con la missione ONU/Unione Africana in Darfur (UNAMID) che sta incontrando non poche difficoltà, soprattutto a causa della vastità del territorio – grande più o meno come la Francia – e la conseguente incertezza sulla disponibilità di contingenti e numero di truppe da dispiegare.
Le cause di questo conflitto sono molteplici.
Il Darfur è una terra molto povera ed esiste una grande disuguaglianza fra il centro del paese, che si stende lungo le sponde del Nilo, e le aree “periferiche”. L’economia del Sudan è dominata dalla capitale e dal suo hinterland, mentre le altre aree del paese sono in condizioni disastrose, spesso alle prese con malattie, malnutrizione e carenza di risorse idriche. Se a questo disinteresse si aggiunge la componente “etnica” per cui i ribelli locali accusano il governo di Khartoum di favorire gli arabi, minoranza in Darfur ma maggioranza nel resto del paese, a discapito della popolazione non-araba, lo scontro diventa inevitabile, soprattutto quando le catastrofi naturali portano la popolazione nera originaria e i nomadi di origine araba a contendersi le poche terre ancora fertili.
La stessa cosa peraltro accade anche in Nigeria dove vengono quotidianamente riferiti casi di violenze operate da Fulani, antica tribù di pastori nomadi convertiti all’Islam, a discapito delle popolazioni locali dedite invece all’agricoltura. Le variazioni climatiche hanno portano in questi anni i Fulani a spostarsi sempre più verso sud, alla ricerca di pascoli per il loro bestiame, nei territori occupati da tribù cristiane, stanziali e contadine.
Pur essendo terra arida, il suolo del Darfur è ricco di risorse naturali e materie prime ed in particolare di petrolio che è la maggiore risorsa economica del paese. Costituisce infatti il 70% delle esportazioni sudanesi, due terzi delle quali sono acquisite dalla Cina, primo partner commerciale del Sudan che non può in nessun modo lasciarsi sfuggire un territorio così produttivo. Ricordiamo che la Cina già nel 2006 si era astenuta all’approvazione della risoluzione ONU che prevedeva l’invio immediato di una forza di pace in Darfur, dando così un pieno appoggio diplomatico al Sudan. Lo stesso avevano fatto Qatar e Russia, quest’ultima coinvolta in un lucroso traffico di armi col regime sudanese.
Visto le molteplici cause di conflitto, la soluzione sembra ancora lontana. Con al-Bashir che non sembra preoccuparsi minimamente delle prese di posizione internazionali, forte anche dell’appoggio di Cina e Russia, l’emergenza umanitaria rimane attualmente l’unico punto su cui focalizzare gli interventi e l’attenzione.
Il Darfur è dilaniato da più di 10 anni di guerra che hanno causato la più grave crisi umanitaria al mondo. A pagarne il prezzo più caro ovviamente la popolazione civile. Dopo un primo accordo di pace siglato nel 2008, un secondo nel 2010, il conflitto è ripreso incessante a partire dal 2013. L’ONU è presente dal 2007 con la missione ONU/Unione Africana in Darfur (UNAMID) che sta incontrando non poche difficoltà, soprattutto a causa della vastità del territorio – grande più o meno come la Francia – e la conseguente incertezza sulla disponibilità di contingenti e numero di truppe da dispiegare.
Le cause di questo conflitto sono molteplici.
Il Darfur è una terra molto povera ed esiste una grande disuguaglianza fra il centro del paese, che si stende lungo le sponde del Nilo, e le aree “periferiche”. L’economia del Sudan è dominata dalla capitale e dal suo hinterland, mentre le altre aree del paese sono in condizioni disastrose, spesso alle prese con malattie, malnutrizione e carenza di risorse idriche. Se a questo disinteresse si aggiunge la componente “etnica” per cui i ribelli locali accusano il governo di Khartoum di favorire gli arabi, minoranza in Darfur ma maggioranza nel resto del paese, a discapito della popolazione non-araba, lo scontro diventa inevitabile, soprattutto quando le catastrofi naturali portano la popolazione nera originaria e i nomadi di origine araba a contendersi le poche terre ancora fertili.
La stessa cosa peraltro accade anche in Nigeria dove vengono quotidianamente riferiti casi di violenze operate da Fulani, antica tribù di pastori nomadi convertiti all’Islam, a discapito delle popolazioni locali dedite invece all’agricoltura. Le variazioni climatiche hanno portano in questi anni i Fulani a spostarsi sempre più verso sud, alla ricerca di pascoli per il loro bestiame, nei territori occupati da tribù cristiane, stanziali e contadine.
Pur essendo terra arida, il suolo del Darfur è ricco di risorse naturali e materie prime ed in particolare di petrolio che è la maggiore risorsa economica del paese. Costituisce infatti il 70% delle esportazioni sudanesi, due terzi delle quali sono acquisite dalla Cina, primo partner commerciale del Sudan che non può in nessun modo lasciarsi sfuggire un territorio così produttivo. Ricordiamo che la Cina già nel 2006 si era astenuta all’approvazione della risoluzione ONU che prevedeva l’invio immediato di una forza di pace in Darfur, dando così un pieno appoggio diplomatico al Sudan. Lo stesso avevano fatto Qatar e Russia, quest’ultima coinvolta in un lucroso traffico di armi col regime sudanese.
Visto le molteplici cause di conflitto, la soluzione sembra ancora lontana. Con al-Bashir che non sembra preoccuparsi minimamente delle prese di posizione internazionali, forte anche dell’appoggio di Cina e Russia, l’emergenza umanitaria rimane attualmente l’unico punto su cui focalizzare gli interventi e l’attenzione.
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