CAMBRIDGE ANALYTICA: UN PROBLEMA ANCHE PER L’AFRICA
ACCANITE BATTAGLIE POLITICHE ANCHE IN PAESI AFRICANI – IN PARTICOLARE NIGERIA E KENYA – DOVE FACEBOOK È INTERNET PER MILIONI DI UTENTI
È nuovamente salita agli onori della
cronaca la società Cambridge
Analytica, controllata della SCL Group di Londra –
già Strategic
Communication Laboratories (SCL) – e accusata di avere trafugato dati personali
su oltre 87 milioni di utenti di Facebook a partire dal 2014.
Fondata nel 2013 da Robert Mercer, imprenditore
statunitense, la società britannica è un’azienda di consulenza sulle
strategie di comunicazione politica. Raccoglie dati personali dai social
network, li elabora con modelli e algoritmi che creano profili psicologici
da usare poi in campagne di marketing super mirate intese a orientare,
persuadere, a volta manipolare attraverso la disinformazione, il votante.
Insomma le elezioni possono essere condizionate, non solo alle urne, dove si
può interferire sul conteggio dei voti, ma semplicemente influenzando gli
elettori prima che esprimano il loro voto.
La saga sullo scandalo Facebook-Cambridge
Analytica, che dura ormai da più di una settimana, ha scatenato accanite
battaglie politiche nei scenari britannici e americani, ma anche in paesi
africani – in particolare Nigeria e Kenya – dove Facebook è internet per milioni di utenti.
Il governo nigeriano, guidato dal
musulmano Muhammadu Buhari,
ha creato una commissione ad hoc per indagare sulle elezioni presidenziali del
2007 e 2015, dopo le numerose rivelazioni pubblicate nelle testate The
Guardian e New York Times.
La SCL Elections, affiliata della Cambridge Analytica, era stata infatti assunta dal partito al
governo, il partito democratico
popolare (PDP), e
pare abbia orchestrato una campagna diffamatoria contro l’allora candidato
dell’opposizione Buhari con fake news, propaganda occulta, tutto questo
per spaventare i suoi sostenitori e fare in modo che rinunciassero a
votare. E fu proprio il candidato del PDP, Umar Yar’Adua, a vincere le elezioni nel 2007.
Un miliardario nigeriano avrebbe poi
incaricato nel 2015 la stessa società a seguire la campagna elettorale dell’allora presidente cristiano Goodluck Jonathan che aveva ottenuto la presidenza alla morte
di Yar’Adua nel 2010. In quell’occasione fu realizzato un video in
cui il suo oppositore Buhari era dipinto come sostenitore delle sharia, pronto
ad uccidere i suoi oppositori e a negoziare con terroristi islamici.
Il governo nigeriano ha chiamato in causa
anche hacker israeliani che lavoravano nel 2015 dall’ufficio di
Londra della Cambridge Analytica e che avrebbero violato l’indirizzo e-mail di Buhari, cercando informazioni imbarazzanti, soprattutto riguardo il suo precario stato di
salute, reso poi pubblico nel 2017. In questo modo, il principale candidato dell’opposizione
sarebbe stato vulnerabile ad attacchi personali per favorire la rielezione di
Jonathan. Campagna denigratoria che non ha comunque impedito a Buhari di
vincere le elezioni.
Il PDP ha definito l’inchiesta “disperata”
e il portavoce dell’ex presidente ha precisato che Jonathan non sapeva nulla di
queste interferenze nelle elezioni del 2007 e 2015.
La Cambridge
Analytica aveva anche prestato la sua consulenza nelle elezioni in Kenya del
2013 e in quelle controverse dello scorso anno. Era stata infatti assunta dal partito di governo Giubileo del
presidente Uhuru Kenyatta.
La Super alleanza nazionale (Nasa), principale coalizione dell’opposizione in Kenya guidata da Raila Odinga, ha chiesto
l’apertura di “un’indagine completa” su Cambridge Analytica, accusata di avere
raccolto illegalmente dati personali da Facebook per organizzare “campagne
sporche”. Avrebbe infatti soffiato sul fuoco delle tensioni etniche
durante le elezioni dell’anno scorso in Kenya, diffondendo messaggi di
“demonizzazione” nei confronti degli oppositori di Kenyatta.
La società diffondeva online voci e
pettegolezzi soprattutto sul candidato dell’opposizione
Odinga che è stato oggetto di un video in cui si
prospettavano scene di un suo eventuale governo in cui intere comunità venivano
portate via dalle loro case.
Se per il Kenya, possibili interferenze da parte della Cambridge Analytica
hanno avuto un esito positivo, nel caso della Nigeria non sembrerebbero essere
andate a buon fine. Goodluck Jonathan avrebbe infatti dovuto
vincere contro Muhammadu Buhari.
Qualcuno potrebbe replicare che, come è stato più volte
dichiarato, l’esperienza africana
è stata solo un terreno di prova della società britannica e
quindi il sistema doveva essere ancora perfezionato. Ad ogni modo, non
ci sono abbastanza elementi per accusare la società britannica.
Manipolazioni a
livello informatico non sono infatti cose impossibili in paesi in cui mancano
leggi per la protezione dei dati e non è vi è un sistema adeguato per
custodire i dati degli elettori o piattaforme per la protezione degli stessi. La
Commissione elettorale keniota, ad esempio, permette di entrare nel
registro dei votanti direttamente dal suo sito inserendo un qualsiasi numero di
identificazione (ID) e quindi accendendo a tutti i dati di un qualsiasi
elettore. Il problema per questi paesi è quindi di evitare il facile accesso ai
dati.
La Cambridge
Analytica non fa altro che raccogliere dati da Facebook, o da
altre società di raccolta informazioni, e usarle per creare messaggi strategici. L’applicazione TrueCaller, molto diffusa in
Africa, permette di rivelare nomi
e numeri di telefono di persone e aziende di tutto il mondo che hanno
aderito alla piattaforma. Si può così accedere ai dati telefonici degli
utilizzatori senza il loro consenso. L’uso o abuso di dati non è quindi solo
della Cambridge Analytica.
Per quanto riguarda il tipo di campagna
promossa, spesso denigratoria nel confronti degli oppositori, non c’è niente di
nuovo: le regole che per anni hanno guidato le campagne elettorali sono state
semplicemente applicate online. Se un problema esiste, è quello dell’incessante
flusso di informazioni online che non permette la verifica o il controllo delle
stesse.
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