KENYA: RICOSTRUZIONE O SPARTIZIONE POLITICA ED ECONOMICA?
KENYA: RICOSTRUZIONE O
SPARTIZIONE POLITICA ED ECONOMICA?
SECONDO I DATI
UNICEF DEL 4 GENNAIO 2018, SAREBBERO 3,4 MILIONI LE PERSONE IN CONDIZIONI DI
CARENZA ALIMENTARE E CIRCA 500.000 PERSONE SENZA ACCESSO ALL’ACQUA
Siamo a Sololo, comunità all’estremo nord della
provincia orientale del Kenya, sul
confine etiope, a 800 km dalla capitale Nairobi. Stando ai dati della Banca Mondiale, il 70% della popolazione del distretto vive molto al di sotto della
soglia di povertà, anche se sono diversi i progetti finalizzati a sostenere le famiglie, aiutare i bambini nella
crescita, farsi carico dei tanti orfani.
È uno dei tanti villaggi rurali del Kenya il cui
indice di povertà si aggira sul 43%. Secondo i dati UNICEF del 4 gennaio 2018,
sarebbero 3,4 milioni le persone in condizioni di carenza
alimentare e circa 500.000 persone senza accesso all’acqua. Circa 482.882 bambini richiederebbero un trattamento per la
malnutrizione acuta, tra cui 104.614 sarebbero affetti da malnutrizione acuta
grave.
Non aiuta certamente a migliorare la situazione la
tremenda siccità che sta attualmente devastando il paese e che fa seguito a una
stagione delle piogge (marzo-maggio 2017) meno intensa rispetto alle
previsioni: danni ingenti ai raccolti, morte del bestiame e della parte più
debole della popolazione, una situazione che purtroppo continua anche nel 2018.
Questo succede soprattutto nei territori distanti dai
grandi centri economici e politici del Kenya, meno toccati dalla povertà ma
fortemente interessati da eventi drammatici che si sono registrati a partire da
agosto 2017, quando è stata dichiarata la vittoria elettorale del presidente
uscente Uhuru Kenyatta.
La colazione dell’opposizione ha subito contestato la
legittimità delle votazioni e ottenuto dalla Corte Suprema l’annullamento del
risultato. Un secondo appuntamento elettorale è stato quindi fissato a ottobre
ma il leader dell’opposizione Raila Odinga ha rifiutato di candidarsi in
mancanza di una riforma elettorale e Kenyatta era stato confermato per la
seconda volta. Sono state diverse le proteste a partire da agosto e numerosi i
morti, feriti e arrestati. Secondo un rapporto rilasciato a dicembre 2017
da Human Rights Watch, ci sono stati anche molti casi di violenza sessuale da
parte di uomini in uniforme.
Ma la storia non si è fermata con la riconferma di
Kenyatta: a gennaio 2018, Odinga aveva tenuto una breve cerimonia di
“giuramento” durante la quale si era autoproclamato “presidente del popolo”,
causando altri arresti di oppositori e il blocco delle trasmissione per ben 10
giorni di tre delle più importanti reti televisive keniote.
Questi scontri politici hanno avuto gravi
ripercussioni sull’economia del paese ma un incontro tenutosi venerdì 9
marzo presso l’Harambee House di
Nairobi tra i due storici oppositori, Kenyatta e Odinga, ha finalmente fatto
tirare un sospiro di sollievo alla popolazione del Kenya.
Odinga sembrerebbe ora riconoscere la legittimità del
presidente Kenyatta e la sua precedente richiesta di dialogare solo dopo nuove
elezioni sarebbe ormai svanita. In quell’occasione, i due ex contendenti hanno
redatto un piano di unità nazionale incentrati sui temi di inclusività, riforme
elettorali e lotta alla corruzione. Davanti alle telecamere e ai fotografi
Odinga e Kenyatta si sono stretto la mano, chiamandosi “fratello”, una
situazione inimmaginabile qualche settimane fa. Messi da parte gli scontri
politici, l’interesse del paese sembrerebbe passato in primo piano e il mercato
azionario ha infatti da subito reagito positivamente.
Meno entusiaste le vittime delle violenze che chiedono
al Presidente scuse pubbliche e un risarcimento per i familiari uccisi.
Opinione negativa anche nel resto del paese. Secondo fonti locali, la
riconciliazione dei due contendenti sarebbe esclusivamente intesa a rafforzare
il patrimonio economico dei due principali attori politici.
Kenyatta sarebbe stato riconfermato da un sistema
democratico pilotato e dittatoriale, a tutela degli interessi economici della
sua famiglia. Il suo oppositore Odinga è invece visto come un rivale politico
fantoccio, addomesticato mediante accordi che gli possano garantire di
accrescere il suo già imponente patrimonio.
Non è forse un caso che a febbraio scorso la Banca commerciale dell’Africa (CBA), posseduta a maggioranza dalla
famiglia Kenyatta, abbia ufficialmente acquisito – secondo la rivista
Forbes, le trattative iniziate ad inizio 2017 avrebbero dovuto concludersi a
settembre – la controllata ruandese della più importante banca
ugandese, la Crane Bank. Con
questa acquisizione, la famiglia Kenyatta potrà ampliare la propria attività
nei mercati dell’Africa orientale dove è attualmente
presente, oltre che in Kenya, in Uganda e Tanzania.
Odinga, dal canto suo, se non otterrà vantaggi
economici immediati, con l’incontro di venerdì 9 marzo, ha avuto l’opportunità
di rafforzare la sua figura politica messa un po’ in ombra dal suo giuramento
che è apparso più come uno show pubblico che un rafforzamento della sua
credibilità politica, tanto è vero che i suoi alleati dell’opposizione, i
leader Musalia Musyoka, Kalonzo Mudavadi e Moses Wetang’ula, non erano
presenti all’evento.
È quindi chiaro che Odinga, per potere avere una
posizione determinante sui banchi dell’opposizione, abbia bisogno di un
appoggio che gli dia forza e sembrerebbe averlo trovato dialogando con il suo
storico rivale Kenyatta, una mossa che non è tuttavia vista di buon occhio
dagli altri leader della coalizione di opposizione.
Dopo mesi di proteste e continue tensioni sembrerebbe
quindi tutto da rifare, a cominciare dal dialogo che dovrebbe coinvolgere la
gente comune, come ha dichiarato Rachael
Mwikali della coalizione nazionale dei difensori dei diritti umani.
L’attivista ha anche aggiunto che “quando parlano di riconciliazione, guardano
solo ai loro interessi. E questi due uomini dovrebbero invece vedere del
paese.”
Nessuno dei due ex contendenti pare sappia infatti
quanto sia stato alto il sacrificio costato ai kenioti in questi mesi.
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