CYRIL RAMAPHOSA, UN MILIARDARIO A CAPO DEL SUDAFRICA
DOPO LE DIMISSIONI DI ZUMA, TOCCA ORA A RAMAPHOSA GUIDARE IL PAESE. È IL QUINTO PRESIDENTE DEL SUDAFRICA DALLA FINE DELL’APARTHEID
L’Africa
subsahariana non smette di stupire. Dall’agosto scorso continuano
in Togo, senza un attimo di
tregua, le manifestazioni e gli scioperi contro il regime del presidente Faure Gnassingbé, a capo dello stato
da più di 12 anni dopo i 38 anni di governo del padre. Anche in Kenya l’opposizione prosegue la
sua lotta per elezioni libere e democratiche e non mancano proteste di piazza.
Ora, il Sudafrica ha
dato un forte segno di transizione pacifica verso la democrazia e lo stato di
diritto. Jacob Zuma,
presidente della seconda economia del continente preceduta dalla sola Nigeria
ricca di petrolio, ha annunciato, il 14 febbraio, le proprie dimissioni, ammettendo che era arrivato
il momento di ritirarsi per scongiurato il voto di sfiducia programmato in
Parlamento. Il suo partito, l’African
National Congress (ANC), che governa il Paese dalla fine dell’apartheid, nel timore di
perdere le elezioni del 2019, aveva già iniziato ad allontanarlo.
Aveva eletto alla sua guida, nel dicembre scorso il vicepresidente Cyril Ramaphosa, spianandogli così la
strada alla presidenza.
Già prima della sua nomina, nove anni fa, Zuma era
stato accusato di corruzione in una vicenda di compravendita di armi. Durante
la sua presidenza, aveva poi ristrutturato la sua residenza privata con i soldi
dei contribuenti e aveva notevolmente contribuito all’arricchimento
della famiglia indiana Gupta,
con cui ha sempre intrattenuto rapporti molto stretti. In questi ultimi anni, la corruzione ha quindi divorato il
Paese, al punto tale che gli investitori stranieri sono fuggiti dal Sudafrica.
La gestione dell’ex Presidente ha quindi intaccato profondamente i consensi
dell’ ANC.
Dopo le dimissioni di Zuma, tocca ora a Ramaphosa
guidare il Paese. È il quinto presidente del Sudafrica dalla fine
dell’apartheid e rimarrà in carica fino alle elezioni in programma per l’anno
prossimo.
Nel suo discorso di accettazione della carica, il
neopresidente ha detto in Parlamento a Città del Capo che la lotta alla
corruzione e alla cattiva gestione di aziende pubbliche sarà una priorità della
propria amministrazione.
La festa sui mercati è cominciata non appena si sono
diffuse le prime voci sulle dimissioni di Zuma e la Borsa ha registrato subito
un balzo del 3,5%.
Con Ramaphosa a capo del Sudafrica, si pensa a una
rinascita del Paese che potrebbe avere ripercussioni sullo Zimbabwe, dove l’Esercito ha rovesciato Mugabe solo per conservare il potere, e sulla Repubblica
Democratica del Congo, dove la popolazione e l’episcopato cattolico
cercano di ottenere l’allontanamento di Joseph Kabila, ancorato
alla presidenza.
Per l’opinione pubblica, Ramaphosa è l’uomo rimasto
sempre accanto a Nelson Mandela che
lo aveva definito uno dei maggiori leader della ‘nuova generazione’. Fu scelto
come capo negoziatore nelle delicatissime fasi della transizione alla fine
dell’apartheid e presidente dell’Assemblea Costituente, svolgendo un ruolo di
primo piano nel redigere la costituzione del nuovo Sudafrica. Questi impegni
politici lo hanno senz’altro fatto ritenere persona credibile, facendogli anche
ottenere un notevole consenso.
A rafforzare ulteriormente la sua posizione,
contribuisce l’atteggiamento favorevole degli investitori stranieri nei
confronti del suo programma di politica economica, concentrato sulla lotta alla
corruzione e sul sostegno all’occupazione. L’agenzia di rating Moody’s ha parlato di un
‘cambiamento positivo’ per l’economia sudafricana che potrebbe far aumentare la
‘fiducia del mondo degli affari’ e invertire il ‘graduale deterioramento dei
fondamentali del credito’.
A livello internazionale, il suo nome era balzato agli
onori della cronaca nell’era di Barack
Obama. in una conversazione tra l’ambasciatore americano e quello di
Israele, resa pubblica da Wikileaks, alla domanda su chi fosse il politico
sudafricano più affidabile, il nome fu proprio quello di Cyril Ramaphosa e non
è un caso che il ‘New York Times’, nel gennaio 2013 abbia pubblicato un
lunghissimo articolo che già nel titolo si chiedeva proprio se fosse lui ‘il
miglior leader che il Sudafrica non ha ancora avuto?’. Ovviamente sempre e solo
dopo Mandela. Già a quel tempo la Cina aveva
fatto grandi investimenti in nel paese, tanto che il presidente cinese Xi Jinping aveva affermato
che «le relazioni tra Cina e Sudafrica sono a un nuovo livello
storico» . Subito dopo l’elezione di Ramaphosa, Xi Jinping si è quindi
premurato di inviargli un messaggio di congratulazioni, quasi a volere
suggellare queste relazioni.
Sorge tuttavia legittima la domanda di come sia
possibile che il rinnovamento possa avvenire grazie a uno degli uomini più
ricchi del continente africano, con un patrimonio valutato a circa 450 milioni
di dollari, considerando pure che Ramaphosa ha pure lui qualche scheletro
nell’armadio.
Tralasciando un piccolo scandalo sessuale, che non ha
trovato molto seguito, Ramaphosa ebbe un controverso coinvolgimento, quando era
Presidente del colosso delle telecomunicazioni sudafricano, il Mobile Telephone Networks (MTN), nello scandalo MTN Irancell di cui la società
sudafricana possiede il 49%. Si tratta di una joint venture con un consorzio
controllato dal Governo iraniano, che avrebbe fornito materiale tecnologico
americano in Iran e Medio Oriente, ignorando i veti degli USA.
E come non dimenticare il cosiddetto ‘massacro di Marikana’ quando, il 16
agosto 2012, la Polizia sudafricana aprì il fuoco contro i lavoratori della
miniera di platino di Marikana,
situata a circa 100 km a nordovest di Johannesburg, in sciopero per
chiedere l’aumento dei salari e alloggi migliori. Viene ricordata come l’azione
più sanguinosa compiuta dalle forze di polizia nella storia del Sudafrica del
dopo apartheid. Fu una strage di minatori: 34 morti e 78 feriti, molti dei
quali erano stati colpiti alla schiena. A quel tempo Ramaphosa era membro del
Consiglio di Amministrazione della compagnia londinese Lonmin Plc, proprietaria della
miniera. Venne accusato di aver incoraggiato l’assunzione di misure emergenziali nei confronti dei minatori in
sciopero. Sedeva a quel tempo esattamente dall’altra parte del tavolo rispetto
agli scioperanti, lui che era stato Segretario Generale del Congresso dei sindacati sudafricani (COSATU) durante gli ultimi anni
dell’apartheid.
Ma sembrano cose dimenticate o lasciate in secondo
piano. Superata la fase del consenso, anche a livello internazionale –
forse anche solo per dare continuità alle esistenti relazioni Sudafrica-Cina o
crearne delle nuove, come nel caso degli USA – Ramaphosa deve ora affrontare
non pochi problemi tra i quali l’inevitabile ‘pulizia” a livello amministrativo
nella sua lotta alla corruzione.
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