NIGERIA: A CASA IL GENERALE CHE NON HA SCONFITTO BOKO HARAM
NIGERIA: A CASA IL GENERALE CHE
NON HA SCONFITTO BOKO HARAM
LA SUA
RIMOZIONE DOPO SOLO SEI MESI DIMOSTRA QUANTO LA LOTTA AI TERRORISTI SIA
ARRIVATA AD UNA SITUAZIONE DI EMERGENZA
Risale
al 6 dicembre la notizia della rimozione del maggior
generale Ibrahim Attahiru dal suo incarico di comandante dell’operazione ‘Lafiya Dole’ (pace con ogni mezzo), lanciata nel luglio
2015 per combattere il gruppo terroristico Boko Haram attivo nel nordest della Nigeria.
Nominato a maggio di quest’anno, Ibrahim è stato sostituito dal maggior generale Nicholas
Rogers,
non a caso a pochi giorni dalla strage avvenuta in un mercato della città di
Biu,
a 185 chilometri a sud di Maiduguri, capitale dello stato di Borno nel nordest
del Paese. Il bilancio è di 18 morti e più di 50
feriti.
Si tratta dell’ennesimo attacco verificatosi nei sei mesi sotto il commando di Ibrahim.
Lo scorso 21 novembre, era stata la volta di una moschea attaccata da un attentatore suicida adolescente mentre erano in corso le preghiere del mattino. Ammontano ad almeno cinquanta i morti. Alcuni giorni prima, a Maiduguri, quattro attentatori suicidi, tra cui due donne, si sono fatti esplodere in un affollato sobborgo causando più di 10 morti e 30 feriti. Nella stessa città, a marzo, erano morte 4 persone e ferite altre 8, sempre in un attacco kamikaze.
Almeno sette persone erano state uccise il 9 settembre in un campo profughi dello stato di Borno.
Altri attentati sono stati compiuti il 15 agosto -il bilancio delle vittime è stato di 27 morti e 83 feriti in un attacco kamikaze nei pressi di un campo di sfollati in un villaggio di Mandatari- e il 28 luglio a Dikwa, ad est di Maiduguri, in un edificio che ospitava profughi scappati da Boko Haram. Sono stai almeno 14 i morti e 20 i feriti.
Si tratta dell’ennesimo attacco verificatosi nei sei mesi sotto il commando di Ibrahim.
Lo scorso 21 novembre, era stata la volta di una moschea attaccata da un attentatore suicida adolescente mentre erano in corso le preghiere del mattino. Ammontano ad almeno cinquanta i morti. Alcuni giorni prima, a Maiduguri, quattro attentatori suicidi, tra cui due donne, si sono fatti esplodere in un affollato sobborgo causando più di 10 morti e 30 feriti. Nella stessa città, a marzo, erano morte 4 persone e ferite altre 8, sempre in un attacco kamikaze.
Almeno sette persone erano state uccise il 9 settembre in un campo profughi dello stato di Borno.
Altri attentati sono stati compiuti il 15 agosto -il bilancio delle vittime è stato di 27 morti e 83 feriti in un attacco kamikaze nei pressi di un campo di sfollati in un villaggio di Mandatari- e il 28 luglio a Dikwa, ad est di Maiduguri, in un edificio che ospitava profughi scappati da Boko Haram. Sono stai almeno 14 i morti e 20 i feriti.
È chiaro che il generale Ibrahim non aveva fatto molti passi avanti nella lotta
contro Boko Haram, ma la sua rimozione dopo solo sei
mesi dimostra quanto la lotta ai terroristi, cavallo di
battaglia della campagna elettorale del Presidente Muhammadu Buhari, sia arrivata ad una situazione
di emergenza.
Si pretendeva anche che Ibrahim consegnasse, entro 40 giorni a partire da luglio, ‘l’imprendibile‘ leader jihadista Abubakar
Shekau,
peraltro responsabile del rapimento delle studentesse di Chibok, dichiarato
morto diverse volte.
Da quando Boko Haram ha lanciato i suoi attacchi nel 2009, sono state uccise più di 20.000 persone, 2,6 milioni sono fuggite dalle loro case senza riparo,
assistenza sanitaria, acqua pulita o cibo, e migliaia sono state rapite.
Il gruppo Boko Haram, letteralmente
‘l’educazione occidentale è proibita’ era inizialmente chiamato con il nome
arabo Jama’atu Ahlis Sunna Lidda’awati wal-Jihad che significa
‘gente coinvolta nella propaganda dell’insegnamento del profeta e nella Jihad’,
un chiaro manifesto contro l’Occidente e a favore di uno stato islamico.
A partire dal 2014, Boko Haram è riuscito a creare
molti calafati nelle area sotto il suo controllo.
È bastata la riconquista di alcuni di questi territori per fare dichiarare al Presidente Buhari che Boko Haram era ‘tecnicamente sconfitto‘ e questo, solo sette mesi dalla sua elezione, nel dicembre 2015.
In realtà gli attacchi non si sono mai fermati nel nordest del Paese dove la difficile situazione economica e sociale permette spesso il reclutamento di nuovi militanti.
È bastata la riconquista di alcuni di questi territori per fare dichiarare al Presidente Buhari che Boko Haram era ‘tecnicamente sconfitto‘ e questo, solo sette mesi dalla sua elezione, nel dicembre 2015.
In realtà gli attacchi non si sono mai fermati nel nordest del Paese dove la difficile situazione economica e sociale permette spesso il reclutamento di nuovi militanti.
Boko Haram non è tuttavia l’unico problema del Paese dell’Africa occidentale
che possiede l’economia più prosperosa di tutta l’Africa ed è una delle nazioni
più influenti della regione. È vero che le violenze del gruppo islamico
integralista hanno lasciato molti territori agricoli incolti, causando una
grave carestia, ma il Paese è anche dilaniato da
un alto livello di corruzione che è ormai diventata parte integrante del
sistema.
La Nigeria, secondo Transparency International, è infatti uno dei Paesi più corrotti
al mondo. La corruzione interessa tutti i settori dell’amministrazione
pubblica e
va anche a toccare i fondi destinati alla ricostruzione di infrastrutture, gli
aiuti alimentari internazionali, le entrate derivate dal petrolio che
rappresentano ben il 75% delle entrate del Governo federale.
Proprio nella ‘giornata internazionale anticorruzione’ è stato chiesto un
intervento più pregnante al Presidente, soprannominato ‘apostolo
dell’anti-corruzione’ durante il suo Governo, tra gennaio 1984 e agosto 1985,
quando fece incarcerare circa 500 politici con l’accusa appunti di corruzione.
Pesa anche sul Governo dell’ex generale Buhari, i problemi di sicurezza interna.
Human Rights Watch, a luglio 2016, aveva denunciato abusi da parte delle forze di sicurezza governative su donne e ragazze sfollate dalle loro case per sfuggire alla furia di Boko Haram e ricollocate in diversi campi nel territorio di Maiduguri.
Pesa anche sul Governo dell’ex generale Buhari, i problemi di sicurezza interna.
Human Rights Watch, a luglio 2016, aveva denunciato abusi da parte delle forze di sicurezza governative su donne e ragazze sfollate dalle loro case per sfuggire alla furia di Boko Haram e ricollocate in diversi campi nel territorio di Maiduguri.
Faticano quindi a concretizzare le promesse della campagna
elettorale,
prima fra tutte quella della lotta al terrorismo islamista di Boko Haram e alla
corruzione di un Paese sempre più afflitto dalla piaga della povertà.
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