CIAD: LE VITTIME DI HISSÈNE HABRÉ RECLAMANO I RISARCIMENTI

IN SETTEMILA CHE HANNO SUBÌTO VIOLAZIONI DEI DIRITTI DELL’UOMO TRA IL 1982 E 1990 SOTTO LA DITTATURA HANNO DEPOSITATO UNA DENUNCIA



Settemila vittime di violazioni dei diritti dell’uomo compiute in Ciad tra il 1982 e 1990 sotto la dittatura di Hissène Habré hanno depositato una denuncia contro l’attuale governo ciadiano di Idriss Deby Itno, salito al potere ben 25 anni fa dopo aver deposto, con un colpo di stato, lo stesso Habré.

Il documento è stato depositato venerdì 10 novembre presso la Commissione africana sui diritti dell’uomo e denuncia il governo per non aver rispettato la sentenza emessa dalle Camere africane straordinarie (CAE), una corte speciale istituita in occasione del processo al dittatore tenutosi in Senegal nel 2015.
Subito dopo la deposizione di Habré e il suo esilio prima in Camerun poi in Senegal venne istituita dal nuovo governo una commissione d’inchiesta per perseguire i responsabili dei crimini commessi in Ciad durante gli anni del suo governo. Documenti che riguardavano l’attività della Direzione della documentazione e della sicurezza ciadiana (DDS), un corpo di polizia politica, dimostrarono chiaramente il coinvolgimento di Habré, soprannominato il ‘Pinochet africano’, in numerosi uccisioni politiche, nell’uso sistematico della tortura e in migliaia di arresti arbitrari e persecuzioni di gruppi etnici.
Il presidente della commissione d’inchiesta, l’avvocato Mahamat Hassan Abakar, aveva stimato che, tra il 1982 e 1990, almeno 40.000 persone erano morte, 80.000 erano gli orfani, 30.000 le vedove, 200.000 i casi di torture e decine di migliaia le persone scomparse. A conclusione del processo, Habré venne condannato all’ergastolo, condanna confermata poi in appello il 27 aprile scorso.
Si è trattato di un momento epocale per la giustizia africana: si trattò, infatti, del primo processo contro un ex leader africano a svolgersi in Africa e il primo procedimento per crimini contro l’umanità istruito in un Paese diverso da quello dell’imputato.
La Corte aveva anche fatto condannare 20 agenti di sicurezza con l’accusa di «assassinio, atti di tortura e barbarie, sequestri, detenzioni illegali e arbitrarie, colpi e ferite volontarie mortali, crudeltà e complicità» e aveva garantito un risarcimento equivalente a circa 125 milioni di dollari alle vittime che si erano costituite parte civile, somma che doveva essere pagata dagli imputati e dal governo – responsabile in quanto gli agenti della DDS erano agenti dello stato – nella porzione del 50% ognuno. La Corte aveva anche disposto la costruzione di un monumento per ricordare le vittime, la trasformazione della sede della DDS in un museo e l’istituzione di una commissione presieduta dal primo ministro che doveva sovrintendere all’esecuzione della sentenza.
Il Governo a tutt’oggi non ha ottemperato al suo obbligo di risarcimento e non ha ancora preso alcuna misura per creare la Commissione. Una situazione che difficilmente potrà trovare una soluzione. Le questioni di giustizia non sono, infatti, tra le priorità dell’attuale Governo ciadiano che ha fatto registrare, standone all’ultimo rapporto di Amnesty International, crescenti rischi per i difensori dei diritti umani, movimenti di base, sindacalisti e giornalisti a causa delle limitazioni ai diritti alla libertà di espressione, associazione e manifestazione pacifica.
D’altra parte, l’avvocato Abakar aveva già denunciato questa situazione in un’intervista del 2015, in cui dichiarava che «il regime attuale continua ad uccidere. Molti leader di partiti politici e oppositori sono stati assassinati. Non vi è mai stata un’inchiesta che determini e conduca a un processo o giudizio». Abakar aveva anche affermato che «all’epoca, la polizia politica di Habré si chiamava DDS, oggi si chiama ANS (agenzia d’intelligenza nazionale)» Ci vorrà sicuramente molto tempo prima di giungere al risarcimento delle vittime, se mai potrà mai avvenire. Molte sono anche già decedute, un fatto su cui puntano gli avvocati della parte civile che richiedono tempi rapidi di esecuzione della decisione del 2015 «per fare in modo che il maggior numero possibile di vittime possa ancora beneficiare del risarcimento ordinato dalla Corte».


L'INDRO, 13 novembre 2017

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