ARMENI, STORIA DI UN POPOLO DIMENTICATO IERI E OGGI
A meno di un
mese dalle celebrazioni del centenario del genocidio armeno, poco, se non
nulla, sembra essere cambiato per questo popolo. La morte di circa un milione
e mezzo di persone, uccise in massa o decedute per fame, stento o malattia
durante le deportazioni forzate ordinate dal governo ottomano a partire dal 24
aprile 1915, è un fatto da sempre rimasto in secondo piano. Molte parole sono
state invece spese, non tanto per raccontare l’accaduto, ma per definire se vi
sia stato o no genocidio. Sembra quasi che il riconoscimento e quindi la
memoria di un massacro di questa portata dipenda esclusivamente
dall’intenzionalità o meno di chi lo ha commesso. Se un passo avanti
sembrava essere stato fatto dal governo turco con la presentazione delle
condoglianze ai discendenti degli armeni sterminati nell’Impero Ottomano per
voce del premier Recep Tayyip Erdogan, i fatti che si registrano in questi
ultimi mesi dimostrano il contrario. L’istituzione di una commissione
costituita da 8 storici turchi incaricati di fornire contributi utili a
confutare le ricostruzioni del genocidio e la scelta di Erdogan di volere
commemorare la battaglia di Gallipoli lo stesso giorno della commemorazione del
genocidio armeno è la conferma della persistenza di una posizione negazionista
pubblicamente denunciata dal presidente armeno Serž Sargsyan in un’intervista
rilasciata a France 24 nei giorni scorsi. Non è intenzione di nessuno ritenere
responsabile la Turchia odierna di quello che è successo in passato, come
chiarisce lo stesso Sargsyan aggiungendo che “non vuole fare diventare queste
manifestazioni una sorte di isterismo antiturco” ma vuole diventi “un richiamo
al mondo intero per lottare contro i genocidi.” Sembra quasi fare eco a
Levy Bernard Henri. In un articolo pubblicato nel Le Monde di qualche anno fa,
il filosofo francese dichiarava che “non si tratta di ‘dire la Storia’. La
Storia, ripeto, è stata detta, ridetta e arcidetta. Oggi, si tratta d'impedire
la sua negazione”. Prima ancora di una decisa presa di coscienza a livello
mondiale di questa tragedia immane, prima ancora delle commemorazioni che
possano contribuire alla sua memoria, un’altra ferita è stata inferta al popolo
armeno. Alcuni sopravvissuti allo sterminio, pochi in verità, si
insediarono in Siria dove è ben documentata la loro integrazione. Si stima che
erano oltre 100.000, prima dell’inizio del conflitto siriano, la maggior parte
insediati ad Aleppo, centro degli scontri, e nella cittadina di Kessad al
confine con la Turchia. Oggi, non più di 30.000 armeni vivano in Siria, 15.000
secondo altre fonti. Le vittime sarebbero circa 100, altrettanti i rapiti o
scomparsi. 1700 infine gli appartamenti e le strutture della comunità
danneggiati. Se le fonti non sono sempre verificabili e i dati appaiono spesso
incerti, non deve tuttavia essere sminuito, addirittura ignorato, questo colpo
durissimo inflitto nuovamente al popolo armeno. Secondo le cifre fornite
dal ministero armeno della Diaspora, si trovano attualmente nella Repubblica
Armena, una delle destinazioni degli armeni siriani, circa 12.000 profughi, ma
pare siano arrivati molti di più perché circa 5.000 avrebbero in seguito
all’arrivo, per diverse ragioni, lasciato l’Armenia. Gli Armeni di Siria,
che sono i figli e nipoti dei sopravvissuti al genocidio del 1915, si trovano
oggi a dover fronteggiare una nuova tragedia nella loro storia, un nuovo esodo
che li costringe a fuggire lontano, lasciandosi alle spalle tutto. Oggi come
allora, vige il quasi totale silenzio dell’Occidente, un silenzio che sembra
preannunciato dalla tristemente famosa, ma anche profetica, frase pronunciata
da Adolf Hitler, il 22 agosto del 1939, davanti ai comandanti in capo
dell’esercito in vista dell’imminente invasione della Polonia: “Chi parla
ancora oggi dell’annientamento degli armeni?” (Wer redet noch heute von der
Vernichtung der Armenier?).
Il Quotidiano Nuovo, 25 marzo 2015
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