SUD SUDAN: LA SITUAZIONE SEMPRE PIÙ DRAMMATICA

SUD SUDAN: LA SITUAZIONE SEMPRE PIÙ DRAMMATICA


Il Sud Sudan, la nazione più giovane dell’Africa, staccatasi dal Sudan nel 2011 e accolta senza l’interferenza delle comunità internazionali, è diventato in pochi anni terra di desolazione, violenza e morte.
Il conflitto iniziato due anni fa tra il vice presidente Riek Machar accusato dal Presidente Salva Kiir di avere tentato un colpo di stato, è diventato uno scontro all’ultimo sangue e “ha raggiunto delle proporzioni mai vista prima”, come ha dichiarato un funzionario americano al New York Times.
C’è stato un tentativo di accordo di pace e cessato il fuoco sottoscritto ad agosto 2015, ma il previsto governo di transizione non è ancora stato costituito e neppure la Corte incaricata di perseguire i crimini commessi durante il conflitto.
Il rapporto presentato dall’Alto commissariato dell’ONU l’11 marzo descrive innumerevoli violazioni dei diritti umani e deliberati attacchi contro i civili.
I casi di abuso sono compiuti sia dalle forze governative, e dai gruppi alleati, sia dai cosiddetti ribelli. Secondo l’ONU, si contano almeno 50mila morti, ma volontari e funzionari presenti in Sud Sudan affermano che si potrebbe benissimo parlare di 300mila vittime, ossia la stessa cifra registrata in 5 anni di guerra in Siria.
Il rapporto parla di uccisioni di massa, violenze, massacri e torture di ogni tipo, cui si aggiunge il reclutamento di soldati bambini. In solo 5 mesi, da aprile a settembre 2015, sono stati segnalati almeno 1300 casi di stupro in solo uno dei dieci stati sud sudanesi. Le violenze sessuali sono compiute da milizie affiliate all’esercito con il benestare del governo che vuole così ripagare i combattenti. Lo stupro diventa un’arma da guerra per terrorizzare e non risparmia nemmeno i bambini: sono almeno 702 quelli colpiti dalle conseguenze delle violenze sessuali, alcuni hanno solo 9 anni.
Le testimonianze sono tutte molto raccapriccianti, come la notizia, di pochi giorni fa, del soffocamento di più di 60 uomini e bambini chiusi in un container dalle forze governative e lasciati morire.
A questi dati si aggiungono i numerosi rifugiati che raggiungono la Repubblica Democratica del Congo, l’Uganda e persino l’instabile Centro Africa, dove circa 7000 civili vivono in condizioni molto precarie in un’area peraltro difficilmente raggiungibile dagli aiuti internazionali.
Si parla di più di due milioni di persone costrette a lasciare le loro case, di più di sei milioni che necessita di aiuti alimentari e di almeno 15000 soldati-bambini.
Le immagini satellitarie, fornite tra 2014 e il 2015, mostrano distruzioni sistematiche di città e villaggi, con campi coltivati bruciati e animali uccisi, un modo per cacciare i civili.
Le voce di proteste sono silenziose. Nel 2015, almeno 7 giornalisti sono stati uccisi e gli attivisti o difensori dei diritti civili sono costantemente minacciati o imprigionati.
Lo scontro tra Kiir e Machar non è etnico, anche se i due contendenti appartengono a due gruppi etnici diversi, ma è un gioco di forza per prendere, e soprattutto mantenere, il potere in un paese africano con grandi possibilità economiche.
La mossa di dicembre del presidente Kiir di sostituire i 10 stati del Sud Sudan con 28, i cui governatori, tutti leali a Kiir, erano già stati nominati, è una chiara dimostrazione della sua volontà di mantenere il potere. È infatti sulla base dei 10 stati, previsti dalla Costituzione, che è stato raggiunto l’accordo di agosto 2015 per la divisione dei poteri tre le due parti belligeranti.
Dal novembre 2014, era inoltre in discussione l’entrata del Sud Sudan nella Comunità dell’Africa dell’Est (EAC) – assieme a Burundi, Kenia, Uganda, Ruanda e Tanzania – entrata che permetterà al paese di creare le infrastrutture necessarie ad ottimizzare lo sfruttamento del greggio costituente attualmente il 90% delle entrate.
Pare che nessuno sbocco diplomatico possa mettere la parola fine al conflitto e forse, solo se i due leader verranno messi da parte, si potrà raggiungere almeno un accordo di pace.

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