ELEZIONI IN REPUBBLICA DEL CONGO, LA STORIA SI RIPETE
ELEZIONI IN REPUBBLICA DEL CONGO, LA STORIA SI RIPETE
Il terzo mandato presidenziale, considerato anticostituzionale in Burundi e in altri paesi non solo africani, ha fatto registrare in poco più di un anno oltre 265.000 profughi, secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite, e un elenco quotidiano di morti che suona come un vero e proprio bollettino di guerra.
Ora l’attenzione è rivolta alla Repubblica Democratica del Congo dove il presidente in carica Joseph Kabila non intende rinunciare alla sua attuale posizione. Il prossimo mandato elettorale sarebbe anche per lui il terzo – forse anche il quarto se si tiene conto del fatto che fu portato al potere senza elezioni, dopo la morte di suo padre Laurent Desiré Kabila, nel lontano 2001.
Per ovviare al problema costituzionale, Kabila ha presentato una bozza di legge che poteva estendere il suo mandato, causando, a gennaio dell’anno scorso, più di 40 morti nella capitale di Kinshasa. Per prolungare il suo governo, il presidente congolese ha quindi annunciato che l’appuntamento elettorale doveva essere rimandato per almeno due o tre anni, tempo, a quanto pare, necessario per eseguire un attento censimento della popolazione e risolvere gli evidenti problemi finanziari del paese.
Le proteste contro il glissement, termine usato in Congo per descrivere il rinvio delle elezioni, non si sono fatte attendere, soprattutto dopo che la corte costituzionale, interpellata dall’opposizione, ha stabilito che Kabila potrà rimanere in carica fino alla nomina di un nuovo presidente e quindi oltre la sua scadenza elettorale fissata al 19 dicembre 2016.
Purtroppo la partecipazione alle manifestazioni contro quello che viene definito un “colpo di stato costituzionale” è stata molto bassa, probabilmente per la paura delle repressioni da parte della polizia. Un rapporto dell'Ufficio congiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani, pubblicato a dicembre dell’anno scorso, parla infatti di numerose violazioni dei diritti umani in periodo pre-elettorale, con esecuzioni sommarie, incarcerazioni arbitrarie e uso eccessivo della forza e restrizioni della libertà di espressione e manifestazioni pacifiche.
Le proteste anti-Kabila sono state anche l’occasione per rendere omaggio alle più di 600 persone uccise da ottobre 2014 soprattutto nella zona attorno alla città di Beni, nella provincia del Nord Kivu ad est del paese. Tutti civili massacrati indiscriminatamente a colpi di machete da gruppi armati stranieri e milizie locali che regnano indisturbati in diverse località di una regione ricchissima di materie prime. Kabila è attaccato anche su questo fronte visto il suo silenzio e modesto intervento sulla situazione tragica di quel territorio.
Il clima che si respira in Congo-Kinshasa fa quindi sorgere forti preoccupazioni internazionali e sta paralizzando gli immensi interessi legati allo sfruttamento dei minerali e idrocarburi del paese.
Il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon, durante la sua ultima visita a Kinshasa, ha insistito sul rispetto del calendario elettorale, parlando anche della necessità di un dialogo nazionale.
Sembra ancora lontana la possibilità di una stabilizzazione della Repubblica Democratica del Congo: la missione di pace ONU, denominata MONUSCO, è presente nel paese da 15 anni e lo sarà almeno fino a fine marzo 2017. Con lo dispiegamento di poco meno di 20.000 persone, è la missione più imponente dell’Africa ma con pochi risultati raggiunti. Poco incisive anche le operazioni congiunte con l’esercito congolese visto che l’Est rimane in preda a gruppi armati e intanto nel paese, annoverato trai maggiori produttori di petrolio dell’Africa subsahariani, circa metà della popolazione vive in totale povertà.
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