BURUNDI VERSO UNA GUERRA CIVILE
BURUNDI VERSO UNA GUERRA CIVILE
Poca attenzione è stata rivolta alla situazione drammatica che si è creata in Burundi dopo che il presidente uscente Pierre Nkurunziza si è ricandidato e ha poi vinto le elezioni presidenziali lo scorso mese di luglio, sostenendo la validità di un suo terzo mandato, contrario invece alla costituzione burundese e agli Accordi di Arusha del 2000 volti a limitare i poteri del capo dello stato.
BURUNDI VERSO UNA GUERRA CIVILE
Poca attenzione perché i segnali di una guerra civile c’erano tutti, dai disordini scoppiati a fine aprile dopo l’annuncio della candidatura di Nkurunziza, al tentato colpo di stato a maggio, agli spari definiti dai residenti “cori notturni” che risuonano nei diversi quartieri della capitale Bujumbura, ai casi di rapimento e ai numerosi corpi ritrovati senza vita, spesso torturati, che riempiono le strade di buon mattino. Senza dimenticare che sono più di 200.000 i burundesi rifugiati in Congo, Tanzania e Ruanda e circa 200 le persone uccise da aprile.
Da domenica, con il dispiegamento di centinaia di poliziotti e militari, è anche scattata la ricerca casa per casa di armamenti, dopo la scadenza dell’ultimatum lanciato dal governo all’opposizione per la consegna delle armi. Gli atti di violenza sono comunque continuati e sabato sera in un bar della capitale sono state uccise ben 7 persone. Testimoni oculari affermano che a sparare erano persone che indossavano divise da poliziotti. Il governo si difende affermando che c’era il divieto di tenere aperto locali dopo le ore 20 e dichiara, tramite il consigliere per la comunicazione del presidente Willy Nyamitwe, che “non ci sarà né guerra né genocidio” e che “il governo vuole solo sconfiggere il terrorismo”. Ma la paura c’è e molti, già da venerdì, hanno abbandonato le loro case, soprattutto quelle situate nei quartieri dell’opposizione, Mutakura e Cibitoke a nord della capitale, per rifugiarsi in periferia o in zone considerate più calme.
Ad infuocare la situazione c’è stata anche la dichiarazione del presidente del Senato Reverien Ndikuriyo che ha invitato i sostenitori del governo a “sterminare” gli oppositori. Non sono bastati i chiarimenti pubblici sulla cosiddetta errata interpretazione delle parole del presidente a portare la calma tra la popolazione.
A nulla sono valsi i tentativi intrapresi congiuntamente dall’Unione Africana e Nazioni Unite di mediare la situazione, invitando il governo di Bujumbura a cooperare.
La risposta del governo burundese è stata una vera dichiarazione di guerra al mondo intero, in particolare contro le Nazioni Unite, Unione Africana, Unione Europea, con particolari riferimenti al Belgio e al Rwanda, accusato di addestrare ribelli nel suo territorio, di armarli e di aver inviato agenti speciali in Burundi. Dal canto suo, il presidente ruandese Paul Kagame, dopo gli ultimi avvenimenti, ha fortemente criticato i leader burundesi che “permettono il massacro del loro popolo dalla mattina alla sera”.
È stato fatto anche un tentativo di strangolamento economico internazionale con la East African Community che ha sospeso il Burundi da stato membro della comunità economica, il ritiro, da parte degli USA, del suo titolo di paese privilegiato negli accordi commerciali all’interno del programma AGOA (Africa Grow and Opportunity Act), la legge per lo sviluppo e le opportunità in Africa, ed infine la sospensione degli aiuti e accordi bilaterali da parte del Belgio. Anche l’Unione Europea è pronta a sospendere i finanziamenti bilaterali. L’obiettivo è quello di privare il regime da ogni possibilità di sopravvivenza economica per costringerlo ad abdicare, visto che il Burundi dipende per il 60% dagli aiuti stranieri.
Per ora la repressione con qualunque mezzo sembrerebbe essere la politica avviata da Nkurunziza e solo nei prossimi giorni si potranno forse avere qualche indicazioni sul possibile esito di questa situazione tragica. Sembra tuttavia abbastanza chiaro che discorsi di dialogo tra la fazione che sostiene il governo e gli oppositori sono abbastanza improbabili e i quartieri dell’opposizione, a maggioranza Tutsi, contro un governo retto da un presidente Hutu, rischiano di riportare in vita odi etnici, non ancora sopiti e comunque pronti ad essere usati come miccia per fare esplodere scontri su più larga scala.
Il Quotidiano Nuovo, 8 novembre 2015
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