CIAD: UNA REPUBBLICA PRESIDENZIALE… TENDENTE ALLA MONARCHIA ASSOLUTA
LA
NUOVA COSTITUZIONE ESTENDE IL MANDATO PRESIDENZIALE DA 5 A 6 ANNI, NON PREVEDE
RETROATTIVITÀ
Il mese di maggio in Ciad non si apre con un mazzo di mughetto, che l’antica
tradizione francese vuole essere il simbolo del primo giorno del mese, ma con
una nuova costituzione votata dall’Assemblea Nazionale quasi all’unanimità (132 voti favorevoli e
due contrari).
Potrebbe essere un segno di forte coesione delle forze politiche
nel paese africano, ma la bozza di costituzione, per essere approvata, aveva bisogno del voto favorevole dei tre quinti e il Movimento patriottico
di salvezza (Mps), partito del presidente Idriss Deby, detiene la maggioranza
parlamentare. L’esito della votazione era quindi scontato.
Il voto si è inevitabilmente tenuto in un clima teso e la sede dell’Assemblea Nazionale nella capitale N’Djamena
era blindata dalle forze di sicurezza, dopo che l’opposizione e varie
organizzazioni della società civile avevano lanciato un appello a manifestare.
Sono quindi seguiti numerosi arresti “per motivi di sicurezza”.
La nuova costituzione, che ha dato il via, il 4
maggio, alla IV Repubblica, poteva essere guardata
positivamente perché prevede la reintroduzione del limite di due mandati
presidenziali, limite che era stato tolto
nel 2005 dopo un referendum. Ed era questa la
grande richiesta del popolo che il governo sembrava avere accolto.
Anche in questo caso, il governo ha gettato solo fumo negli occhi al Paese.
L’opposizione, assieme ai vescovi del Ciad, aveva infatti richiesto di sottoporre il progetto della nuova costituzione, uscito da un Forum nazionale di marzo indetto per discutere le riforme costituzioni, ad un referendum come segno di riconoscimento della sovranità popolare. Questa richiesta è stata rigettata senza discussioni.
L’opposizione, assieme ai vescovi del Ciad, aveva infatti richiesto di sottoporre il progetto della nuova costituzione, uscito da un Forum nazionale di marzo indetto per discutere le riforme costituzioni, ad un referendum come segno di riconoscimento della sovranità popolare. Questa richiesta è stata rigettata senza discussioni.
La nuova costituzione estende il mandato presidenziale da 5 a 6 anni e
non prevede retroattività. Ciò significa che Deby, rieletto nel 2016 per un quinto mandato, potrebbe governare il paese per
altri 12 anni a partire dal prossimo appuntamento elettorale del 2021, cedendo il potere solo nel 2033
quando avrà raggiunto il traguardo dei 81 anni. Ovviamente avrà tutto il tempo per individuare un suo degno
successore.
Vengono inoltre eliminate le figure di vice presidente e di primo
ministro, dando al presidente
il potere di sciogliere l’Assemblea se le decisioni non hanno il sostegno della
maggioranza dei componenti. Un’altra novità è la
concessione dell’impunità al capo di stato.
Il Ciad prende quindi l’assetto di una repubblica – sistema voluto dalla costituzione del 1996 emendata nel 2005 – presidenziale, o meglio, di un regime presidenziale avviato verso una monarchia assoluta.
Il Ciad prende quindi l’assetto di una repubblica – sistema voluto dalla costituzione del 1996 emendata nel 2005 – presidenziale, o meglio, di un regime presidenziale avviato verso una monarchia assoluta.
Una ventina di deputati dell’opposizione hanno depositato un
ricorso per chiedere l’annullamento della Costituzione, richiesta rigettata
dalla Corte Costituzionale.
Pochi sono tuttavia propensi a parlare di un’opposizione reale in
un paese dove i diritti civili vengono ignorati, come denuncia il rapporto di
Amnesty International 2017/2018, e dove le voce dissidenti sono violentemente
represse. Il ricorso è stato quindi giudicato da molti come un semplice
tentativo del presidente di mostrare al mondo che esiste una minoranza nel
governo del Ciad.
Deby tenta quindi di rafforzare il suo potere in un paese dove il
38,4 % della popolazione vive sotto la soglia di povertà estrema, aggravata dalla caduta del prezzo del principale prodotto
di esportazione del Ciad, il petrolio.
Di fonte a questa situazione politica e sociale tragica, l’Occidente chiude gli occhi, principalmente perché il Ciad
rimane un prezioso alleato nella lotta al terrorismo, oltre ad ospitare
diverse compagnie multinazionali.
Il greggio, che viene estratto dal 2003, è gestito dall’impresa
pubblica Société des hydrocarbures du
Tchad (Sht), che usa come partner esclusivo la multinazionale
svizzera Glencore. Quest’ultima ha persino fatto da banca al governo del Ciad con
un prestito di più di due miliardi di
dollari, rimborsato con forniture di greggio. Un
sistema che, con la diminuzione del prezzo del petrolio, ha portato il paese ad
avere un forte debito rinegoziato a fine febbraio dopo lunghe trattative,
dimostrando chiaramente che la multinazionale svizzera non intende rinunciare a
questa preziosa fonte di guadagno. Considerando che la
Sht è un’azienda pubblica e non è tenuta a tenere e presentare bilanci, diventa abbastanza chiaro che sia
direttamente controllata da Deby e quindi la sua “longeva” presidenza può essere solo
un vantaggio “economico”.
Non manca un particolare interesse
francese per il Ciad. La France è infatti
intervenuta militarmente nel 2006 per placare le proteste contro i risultati
delle elezioni, la cui regolarità è stata molto contestata e che vedevano
riconfermato Deby. Ufficialmente l’intervento non riguardava la questione
politica ma era intesa unicamente a proteggere i pozzi petroliferi. Parigi
aveva inoltre fermamente condannato i ribelli del Fronte Popolare che avevano
tentato di prendere il potere con la forza nel 2008.
Un sostegno al governo di Deby, a vantaggio di interessi economici, potrebbe anche essere letta la visita in Ciad a marzo di Marina Le Pen, candidata del Fronte Nazionale alla presidenza francese. La sua
presenza sul suolo ciadiano era stata organizzata per incontrare i militari
francesi impegnati nella ‘Operazione Barkhane' che li vede a fianco di truppe del Mali, Mauritania, Burkina
Faso, Niger e Ciad per combattere i gruppi jihadisti del Sahel.
La candidata di estrema destra ha incontrato il presidente ed esternato
il suo progetto di abbandonare l’euro e tornare al franco, scelta condivisa da Idriss Deby
che vede di buon occhio l’abbandono della moneta unica cui è legata il franco
CFA.
Il Franco CFA è una moneta ancorata a un cambio fisso con l’Euro e la sua piena
convertibilità è garantita dal Ministero del Tesoro francese, che però chiede il deposito, preso un conto del ministero, del 65% delle riserve estere dei
paesi aderenti all’unione monetaria, consegnando così le chiavi
dello sviluppo del paese a una nazione straniera.
Il Ciad governato da Idriss Deby è attualmente un importante
partner economico per l’Occidente, e in particolare per l’Europa. Lo dimostra
il fatto che un esponente di estrema destra sente di dovere curarne i rapporti
per avere, nel caso della sua vincita, un prezioso sostenitore.
A nome di interessi economici, l’Occidente ignora i numerosi
arresti arbitrari di giornalisti, attivisti e manifestanti, il divieto di
assemblee pacifiche, la revisioni del Codice Penale ciadiano che mantiene, tra
l’altro, la pena di morte, eccetto per atti di “terrorismo”. Quello più recente
risale a non più tardi di domenica 6 maggio ed è costato la vita a sei persone.
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