INTERVENTO MILITARE IN TOGO, SOLUZIONE PER RISOLVERNE LA CRISI POLITICA?

SEMBREREBBE CHE IL POTERE POLITICO NELLE MANI DI UN’UNICA PERSONA, O DI UN SOLO PARTITO, SENZA LIMITI DI MANDATO, SIA LA CAUSA PRINCIPALE DELLE TENSIONI E DEGLI SCONTRI NEL PAESE


L’attuale crisi politica che sta interessando il Togo non è storia recente. A sette anni dall’indipendenza dalla Francia, sale al potere Nicolas Grunitzky, dopo aver deposto e ucciso l’allora Presidente Sylvanus Olimpio. Si trattò del primo colpo di Stato militare in un paese indipendente dell’Africa nera. Grunitzky fu a sua volta deposto nel 1967 da Eyadéma Gnassingbé che governò poi il Paese per ben 38 anni.
Un forte segnale di ritorno a un sistema democratico si ebbe nel 1992, quando la costituzione della IV Repubblica stabilì il limite di due mandati presidenziali e uno scrutinio a due turni. Fu tuttavia rivista e il limite del mandato presidenziale eliminato, permettendo così a Eyadéma di essere rieletto. Alla sua morte nel 2005, il Governo passa, come per successione dinastica, al figlio Faure Gnassingbé, che è stato poi rieletto nel 2010 e nel 2015, tra scontri violenti e denunce di brogli. Secondo i dati di un’inchiesta condotta dall’ONU, almeno 500 togolesi sarebbero morti nel 2005 con la salita al potere di Faure Gnassingbé che intende ora ricandidarsi nel 2020.
Una stabilità politica molto fragile ha quindi caratterizzato la storia del Togo fin dai primi anni di indipendenza. Ora, in vista del perdurare del Governo dinastico Gnassingbé, l’appello delle opposizioni a manifestare è stato accolto da una significativa fetta dei quasi 8 milioni di togolesi. A partire del mese di agosto 2017, con cadenza quasi settimanale, si sono susseguite numerose proteste cui si sono aggiunti, nelle ultime settimane, scioperi nei settori dell’istruzione e della sanità.
Sembrerebbe che il potere politico nelle mani di un’unica persona, o di un solo partito, senza limiti di mandato, sia la causa principale delle tensioni e degli scontri nel Paese. Ci sono stati quindi intrapresi tentativi di accordo e il Presidente del Ghana, Nana Addo Danquah Akufo-Addo, si è fatto mediatore al dialogo nazionale iniziato il 19 febbraio 2018 nella capitale Lomé tra i rappresentanti del governo del partito dell’Unione per la Repubblica (UNIR) e i partiti di opposizione.
Il Governo ha richiesto l’immediata interruzione delle proteste, richiesta accettata dai partiti dell’opposizione a patto che fossero liberati i prigionieri politici arrestati durante le passate manifestazioni. Gnassingbé ha quindi concesso la grazia a 45 prigionieri, riservandosi tuttavia di esaminare gli altri casi volta per volta. Rimangono quindi ancora numerosi detenuti.
I seguaci del dialogo hanno previsto la discussione del ritorno alla costituzione del 1992, con la reintroduzione del limite dei mandati presidenziali – che impedirebbe così al Presidente Faure Gnassingbé di rimanere in sella fino al 2020 – la sospensione delle elezioni parlamentari e locali in attesa delle riforme istituzionali e il voto della diaspora. Sul limite dei mandati presidenziali, le parti non hanno trovato alcun accordo e il presidente del Ghana ha interrotto il dialogo per due settimane, ufficialmente per impegni suoi inderrogabili.
Bisogna ricordare che sono stati, fin dal 1991, numerosi i tentativi di discussione tra il partito al Governo e le opposizioni, ma mai si è giunto a una soluzione definitiva e i pochi casi di accordo si sono trasformati in semplici raccomandazioni finite nel dimenticatoio. Per questo motivo, il leader di opposizione dell’Anc Jean-Pierre Fabre ha chiarito che «se questo dialogo non si concluderà con decisioni vincolanti…la crisi in Togo continuerà».
La crisi togolese è guardata molto da vicino soprattutto dei Paesi dell’Africa occidentale, per la paura che il malessere togolese possa avere ripercussioni nei Paesi vicini.
Il Presidente della Nigeria Muhammadu Buhari aveva incontrato nella capitale Abuja, l’8 febbraio scorso, l’Ambasciatore togolese Lene Dimban, e in quell’occasione, pur non menzionando il Togo, aveva dichiarato che «le transizioni politiche pacifiche non sono più negoziabili nell’Africa occidentale», a causa degli effetti negativi che le crisi politiche hanno sullo sviluppo economico della regione e sui cittadini. Aveva aggiunto che l’ECOWAS, Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, stava lavorando proprio per evitare che la transizione si trasformi in una crisi, lasciando chiaramente intendere che ci si aspetta un passaggio di potere politico e non la continuazione di quello attuale.
Alcune fonti non ufficiali hanno inoltre dichiarato che da fine febbraio è in discussione nella capitale nigeriana un intervento militare per fare uscire il Togo dall’impiccio in cui si trova e demistificare un esercito che sta diventando un pericolo pubblico.
Il vero problema del Togo sarebbe quindi l’esercito che il partito UNIR utilizza come un’organizzazione privata di autodifesa al servizio di un clan, quello della famiglia  Gnassingbé, minacciato dal popolo togolese. Questa dichiarazione troverebbe conferma nello stato di assedio cui sono sottoposte le città di Sokodé, Panfilo e Mango e che costringe la popolazione a trovare rifugio nelle foreste e nel vicino Ghana dove sarebbero arrivati, secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati  (UNHCR), già a ottobre 2017 più di 500 rifugiati. Chi non è scappato è continuamente sottoposto a controlli militari.
Da un lato quindi l’opposizione attacca apertamente il potere di Gnassingbé le cui dimissioni potrebbero fare sperare la crisi politica. Dall’altro lato, viene tirato in ballo il ruolo dell’esercito fortemente legato alla persona e alla famiglia del presidente. In questo caso solo un intervento militare esterno potrebbe riportare l’ordine nel paese.
La stabilità politica del Togo desta comunque molte preoccupazioni ai paesi dell’Africa occidentale, mentre la comunità internazionale rimane a guardare. D’altra parte, il Togo non possiede risorse naturali, come l’uranio, il cobalto e il petrolio, e quindi non suscita un particolare interesse.

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