RIFIUTI, INCUBO PER L’AFRICA, MA NON PER LA REPUBBLICA DEL CONGO

DA DICEMBRE SCORSO, È IN ATTO LA COSTRUZIONE DI UN BIOCENTRO PER IL TRATTAMENTO DEI FANGHI INDUSTRIALI PREVISTO NEL VILLAGGIO DI TANDOU MBOMA



Qualunque società, in qualsiasi epoca, si è dovuta confrontare con i rifiuti derivanti dalle attività dell’uomo, perché, si sa, la natura non genera rifiuti, ma ricicla quello che produce.
Se il problema rifiuti è diventato un’emergenza in molti paesi, il loro smaltimento ha raggiunto proporzioni mondiali. Per arginare momentaneamente la situazione, si è pensato bene di scaricare i rifiuti in zone lontane, magari meno abitate, ovviamente in cambio di una contropartita economica.
L’Africa è quindi stata per anni la pattumiera dell’Europa e degli Stati Unitiaccogliendo tonnellate di rifiutiin qualche caso pericolosi per radioattività o velenositàe comunque sempre inquinanti e responsabili di devastazioni dell’ambiente.
Emblematico il caso di Agbogbloshie, sobborgo a ovest della capitale ghanese di Accra considerato ‘la più grande discarica di rifiuti elettronici d’Africa’. L’area accoglie i cosiddetti e-waste, rottami elettronici provenienti dai paesi industrializzati di tutto il mondo. Lì, vengono classificati e poi smembrati per estrarne rame, alluminio, ferro e oro, tutti materiali che vengono nuovamente riutilizzati. Alcuni prodotti elettronici vengono anche riparati e quindi rivenduti nei numerosi negozi di elettrodomestici ed elettronica che affollano le strade di Accra. Queste attività vengono svolte da persone locali che per la maggior parte vivono esclusivamente da questa fonte di reddito. Fin qui nessun problema, se nonché non solo uomini sono impegnati nelle attività di recupero metalli, ma anche bambini e lo fanno per un bassissimo stipendio. Sono inoltre continuamente esposti a sostanze tossiche come il mercurio, i ritardanti di fiamma bromurati o il cadmio. La plastica viene poi bruciata per estrarne i metalli rilasciando nell’aria gas tossici che causano non pochi danni ambientali.
Non tutto viene poi riciclato e si calcola che in alcune aree di Agbogbloshie la concentrazione di piombo nel suolo supera del 1000% quella tollerata dagli standard internazionali, mentre l’inquinamento delle falde acquifere del fiume Odaw  ha comportato la drastica riduzione della biodiversità della laguna Korle Bu, sulle cui rive sorge la discarica.
Ovviamente i rifiuti portati in Africa non seguono sempre le vie legali. Molti sono infatti i casi di traffici illeciti che trasportano rifiuti destinati in qualche discarica abusiva.
La vicenda delle cosiddette “navi dei veleni” (la Karin B, la Jolly Rosso, la Deep Sea Carrier e soprattutto la Zanoobia) fece scoprire in Nigeria a Port Koko, a sud del paese, un discarica con 10 mila tonnellate di veleni – poi rimpatriati in Italia a spese dei contribuenti nel 1988.
Più recentemente, a novembre 2017, si è chiusa con successo un’indagine, durata più di un anno, su un traffico internazionale di rifiuti pericolosi che da Torino era diretto in Africa via Genova per un valore approssimativo di 185mila euro.
LAfrica non deve solo combattere con i tragici illegali di rifiuti o contro lo smaltimento di quelli ormai presenti in terra africanama deve anche risolvere il problema di quanto prodotto dagli stessi paesi africani in via di sviluppo come la Repubblica del Congo che pare abbia preso molto a cuore la situazione.
Più del 60% della popolazione congolese vive nelle città – le più popolose sono la capitale Brazzaville, il centro economico e porto di Pointe Noire e Doilise – centri urbani che sono letteralmente invasi dalle immondizie, e la situazione può solo crescere con la grande urbanizzazione e la crescita demografica.
Il petrolio gioca inoltre un ruolo molto importante nell’economia del paeseLe entrate della Repubblica del Congo dipendono, secondo i dati forniti dal Fondo monetario internazionale, per l’80% dal petrolio il cui sfruttamento ha ovviamente un impatto ambientale notevole. A questi problemi si aggiunge anche la  deforestazione e l’urbanizzazione disordinata in tutto il paese.
Il governo congolese non è rimasto fermo e ha messo a punto nel 2010 un programma nazionale di riforestazione (PRONAR) da realizzare su un milione di ettari i territorio in dieci anni.
Dopo la mancanza di società che gestiscano correttamente i rifiuti, buttati per strada o nei tombini delle grandi città, e raccolti da operatori con tariffe variabili, senza coordinamento e controllo della filiera, sono stati promossi da ONG internazionali progetto come il “Gret” che, tra il 2012 e 2015, ha creato una filiera di raccolta dei rifiuti, estesa territorialmente in un secondo tempo.
Dal 2015 è inoltre intervenuto a Brazzaville il gruppo “Averda” – nato in Libano nel 1964 e fornitore mondiale di servizi integrati per la gestione dei rifiuti – con una sua filiale, la “Congo Environmental Service Averda”, attiva ufficialmente da febbraio 2016 e pronta a estendere, nei sette anni previsti dal contratto sottoscritto con lo stato congolese, i suoi servizi in altre città.
Ma chi dice raccolta rifiuti dice anche trattamento rifiuti. Ovviamente, si tratta di un settore che spalanca le porte a molte società straniere dei paesi più sviluppati e capaci di fornire soluzioni al problema. Nel caso del Congo è tuttavia lo Stato che usufruisce delle conoscenze tecniche straniere all’interno di società autoctone.
La congolese Green Services opera dal 2015 presso la CORAF, unica raffineria del paese situata a Pointe Noire, nel trattamento dei fanghi industriali con microrganismi biodegradatori del petrolio.
Visti i risultati positivi ottenuti, da dicembre scorso, è in atto la costruzione  di un biocentro per il trattamento dei fanghi industriali previsto nel villaggio di Tandou Mboma, nel sud-est del territorio di Pointe Noire.
Rispetto agli anni passati molto è stato fatto ma molti rimane da fare: il Congo è sempre aperto a nuove soluzioni tecnologiche che possano, se non risolvere, almeno ridurre il problema. Una vera e propria necessità rimane tuttavia una gestione globale e coordinata del settore dei rifiuti.


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