PERSISTONO FAME E INSICUREZZA IN SUD SUDAN
LA PEGGIORE CARESTIA E LE OMBRE DI UN CONFLITTO CHE NON VUOLE ESTINGUERSI
È di
sabato 9 settembre la notizia dell’uccisione di Lukudu Kennedy Laki Emmanuel, autista del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR). Il suo convoglio stava rientrando da un’operazione
di distribuzione di cibo e sementi ed è caduto in un’imboscata nello stato di Equatoria Occidentale nel nord
del Sud Sudan, ai confini con la Repubblica Centrafricana e la
Repubblica Democratica del Congo. Immediata è stata la sospensione di tutte le operazioni umanitarie previste in quella zona.
Mari Aftret Mortvedt, portavoce del CICR nella capitale
Juba, ha dichiarato che si tratta del primo attacco serio dall’inizio della
guerra civile scoppiata nel 2013 e che le attività
umanitarie sono state fino ad allora sempre rispettate. La presenza della Croce
Rossa viene sempre notificata alle parti in conflitto e i veicoli segnati con
il simbolo dell’organizzazione
Questo attacco segue l’uccisione, a fine
agosto, del giornalista americano Christopher
Allen, colpito durante un pesante combattimento tra le truppe
governative e i ribelli nello stato di Yei River, nel sud del paese.
Dall’inizio del conflitto sono morti circa 85 operatori
umanitari e, secondo l’ONU, circa 650 incidenti hanno
impedito l’arrivo di aiuti tra gennaio e luglio di quest’anno. La sicurezza sta
quindi peggiorando in un paese teatro della peggiore crisi alimentare mondiale non causata da catastrofi naturali ma
da una lotta politica interna. Secondo il Programma alimentare
mondiale delle Nazioni Unite, circa metà della popolazione –
sei milioni di persone – rischiano la fame.
A questo si aggiunge l’alto numero di rifugiati, pari a circa il 12% della popolazione:
almeno un milione sono ospitati in Sudan, Etiopia, Kenya, Repubblica
Democratica del Congo e Repubblica Centrafricana e la stessa cifra si conta per
la sola Uganda, dove arrivano in media ogni giorno 1.800
rifugiati sud sudanesi, rendendo la quantità di aiuti dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) sempre più insufficiente.
Questa situazione catastrofica viene confermata da chi
opera direttamente sul territorio. Latino Fuccaro di Chiusaforte in provincia di Udine
è un volontario dell’Associazione Sudin onlus del capoluogo friulano e opera nella scuola del piccolo villaggio Bahrghel nello
stato dei Laghi. Riferisce di convogli spesso
saccheggiati prima del loro arrivo a destinazione, lungo strade
tutto da inventare.
Anche l’emergenza fame è
molto sentita in una zona tendenzialmente tranquilla. Con una
lapidaria dichiarazione, “chi mangia tre volte a settimana
è fortunato”, Fuccaro illustra chiaramente la situazione.
Il Sud Sudan, la nazione più giovane del mondo, animista ma con una
discreta fetta di cristiani e una minoranza musulmana, nata nel 2011 da un
referendum che ne ha sancito la secessione dal Sudan, precursore di un islam
“conquistatore”, è devastato da dicembre
2013 da una terribile guerra civile.Il presidente Salva Kiir, dell’etnia dominante Dinka, aveva accusato il suo primo vicepresidente Riek Machar,
di etnia Nuer, il secondo gruppo del paese, di avere tentato un colpo di stato e gli ha quindi tolto l’incarico
creando forti tensioni tra le forze militari pro-governo e quelle di Machar.
Nell’agosto 2015 era stato siglato un accordo di pace, dopo forti pressioni da
parte della comunità internazionale, ed era nato il governo di transizione di
cui Machar era nuovamente primo vicepresidente. Nel luglio dell’anno
successivo, una centinaia di miliziani ex ribelli che da mesi lamentavano il
mancato ricevimento degli stipendi e il loro inquadramento nelle forze regolari
hanno seminato il panico. È bastato questo a riaccendere gli scontri tra le due
fazioni.
Non si tratta tuttavia di un conflitto solamente etnico, ma è un pesante
gioco di forza per prendere, e soprattutto mantenere, il potere in un paese
africano con grandi possibilità economiche. Il Sud Sudan è infatti il terzo giacimento petrolifero dell’Africa. Ma
la carta del conflitto etnico aiuta ad ottenere più seguaci da entrambi le
parti, soprattutto in tutte le zone periferiche abbandonate a se stesse.
Ieri, il sostituto di Machar, il generale Taban Deng Gai,
ha sollecitato i ribelli a partecipare ad un dialogo nazionale per la pace e
per la crescita del paese, precisando che le numerose
ribellioni sono dovute ai “troppi” comandanti in capo in essere,
mentre «l’unico che conosciamo è Sua
Eccellenza, generale Salva Kiir Mayardit». Una dichiarazione molto
chiara sui giochi di potere che interessano il Sud Sudan.
Gli Stati Uniti hanno proposto, durante una
riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, un embargo internazionale sulle armi se non verranno registrati
miglioramenti nei processi di pace, pace che, per fortuna,
regna nel piccolo villaggio di Bahrghel, a maggioranza Dinka, anche se, come
viene riferito da Fuccaro, “non mancano certamente dispute locali per il
pascolo, il bestiame, l’acqua”, in assenza di un governatore in grado di
coinvolgere i capi tribali e le altre autorità tradizionali in un dialogo. In
questa situazione, è piuttosto difficile intravedere uno
spiraglio e la pace per il giovane paese africano sembra ancora lontana.
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