CONTRABBANDO NELLA CARNIA DEL PASSATO

Il termine italiano “contrabbando” deriva da contrabbandum, vocabolo che nel latino medievale indica “ciò che va contro le leggi, contro i bandi”. Si tratta quindi di una cosa illegale, nel caso specifico, che non passa dai posti di frontiera ufficiali.
Situata in zona di confine con l’Austria, territorio segnato da continui movimenti di gente, la Carnia non poteva esimersi dal dare il suo contributo a questa antica quanto fruttuosa attività. Così, il contrabbando è ampiamente documentato tra le popolazioni carniche sotto il dominio veneziano.
È ovvio che il contrabbando non è una questione di moda, piuttosto una risposta a determinate condizioni politico-finanziarie, una necessità… insomma, un Sant Squigni, un “sacro santo dovere”.


Per le popolazioni che conoscono il proprio territorio palmo a palmo e sono in grado di oltrepassare le montagne in ogni stagione, il confine costituisce una fonte di risorse monetarie, di sicuro affidamento.
Le strade scelte dai contrabbandieri erano percorsi secondari, possibilmente di non facile controllo che la gente locale conosceva e riusciva a percorrere senza grandi difficoltà.
I contingenti militari incaricati di reprimere il contrabbando non erano in grado di presidiare le zone di confine, sia per l’asperità dei luoghi e l’esiguità delle forze a disposizione, sia per l’ostilità delle popolazioni locali, preferendo tentare di interrompere il flusso delle merci in pianura.
Per questo motivo, in tutte le zone montuose, attraverso cui passavano gran parte dei carichi di merce di contrabbandieri occasionali o abituali, isolati o in grosse formazioni, il contrabbando di fatto venne spesso tollerato tacitamente.
E quali merci si trafficava?
Beh, si trafficava un po’ di tutto: olio, sale, granaglie, sete grezze, panni di lana, tabacco, vino, pesce salato, ecc.
E chi erano questo contrabbandieri?
Come si è detto poc’anzi, gente comune che cercava di fare “un po’ di grana” come si direbbe oggi, ma era soprattutto gente che conosceva bene il territorio.
Così Pìori di Tòch di Collina, in comune di Forni Avoltri, è stato ben conosciuto per la sua attività di guida e di alpinista, compiendo, nel corso di poco più di vent'anni, una serie di prime salite, anche assolute. Siamo alla fine dell’800, ma Pìori, oltre ad essere, diremmo così, un bravo sportivo, padre di famiglie e gran lavoratore, era, un grande contrabbandiere… e sicuramente la sua abilità di alpinista gli è stata di grande aiuto.
Conosciamo anche il suo coetaneo di Mieli di Comeglians, tale Pittost, che riuscì persino ad accumulare ricchezze, e ci fu poi Fiorello della valle di Lauco, che sostenne aspre risse con i gendarmi, tanto che gli rimasero profonde cicatrici.
La lista può essere lunga ma fare un elenco di contrabbandieri potrebbe urtare la sensibilità di qualche loro discendente.
Negli ultimi anni della Repubblica la figura del contrabbandiere viene associata sempre più frequentemente a quella del sovversivo, dell’agitatore politico, pericoloso per la stabilità sociale soprattutto perché spesso sembrava dare voce al malcontento e ai risentimenti popolari sopraffatti dal fiscalismo, dall’elevato prezzo dei cereali e dalle prepotenze dei signori.
Così il carnico Giambattista Polo, nel 1792, fu ritenuto oltre che contrabbandiere abitudinario, anche perturbatore della quiete pubblica, perché reo di avere dichiarato ripetutamente che «li sudditi quando vogliono sono li padroni, e che voleva bruciar tutto, e andar in Francia [in piena rivoluzione francese] a goder la Libertà».
Gli albori della Grande Guerra spensero decisamente il contrabbando. Sui sentieri dove di notte e di giorno transitavano gli imperterriti contrabbandieri, apparvero ormai intrepidi soldati.



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