TANTO È LADRO CHI RUBA CHE CHI TIENE IL SACCO


TANTO È LADRO CHI RUBA CHE CHI TIENE IL SACCO


La Repubblica, 16 febbraio 2005: Achille Lollo racconta un'altra sua verità: “furono gli stessi Mattei a dare fuoco 32 anni fa al loro appartamento nel quartiere di Primavalle a Roma, dove poi morirono i due fratelli Stefano e Virgilio”. La rivelazione è arrivata ieri sera durante un'intervista a `Porta a Porta´.
Pochi giorni dopo, il 21 febbraio 2005, Cinzia Banelli, la prima pentita delle BR, nella sua deposizione in videoconferenza al processo per l'omicidio del professor Marco Biagi, davanti alla Corte d'Assise di Bologna, dichiara: “Se il professor Biagi avesse avuto una scorta armata non avremmo potuto ucciderlo. L'azione non sarebbe stata praticabile”.
Potremmo definire queste due dichiarazioni alquanto raccapriccianti, se non fossero entrambi ben motivate.
“Non ho accesso il fiammifero”, potrebbe esclamare gagliardamente Achille Lollo, “e chi è stato?…certamente non io!”. Ma chi da bambino, di fronte ad un misfatto, non è stato pronto a rivendicare la propria innocenza, anche se aveva preso parte ai fatti? La saggezza proverbiale ci insegna che “tanto è ladro chi ruba che chi tiene il sacco”. Ma qui non si parla di ladri bensì di “non ladri” e di fronte ad un’affermazione del genere, maturata per ben 30 anni, siamo alla ricerca di un colpevole, e chi può essere? Le stesse vittime ovviamente, i parenti di due giovani innocenti!
E chi potrebbe avere ucciso Biagi? Sempre ricordando la saggezza proverbiale, “tanto è ladro chi ruba che chi tiene il sacco”, la noncuranza dello Stato, vero tutore della sicurezza del cittadino è colpevole di omicidio.
Parliamoci chiaro, non si tratta ora di ripercorre tutte le fasi degli eventi, magari alla ricerca di prove d’accusa o di attenuanti, ma semplicemente di fare alcune considerazioni che potrebbero forse sembrare banali e inconcludenti, ma che si rendono necessarie in un contesto in cui i valori e le certezze sono rovesciati.
Achille Lollo, condannato a 18 anni, se ne sta 2 anni in carcere e scappa in Brasile. Poi se ne esce dopo 30 anni le sue brillanti ed illuminanti dichiarazioni.
Perché adesso? Perché non prima? Ovviamente ci sono risposte puntali a queste domande: Lollo fa i nomi dei complici, perché, dice, si è estinto il patto del silenzio stipulato tra di loro, e perché l’avvenuta prescrizione tiene al sicuro i correi.
Perché scappare e non continuare la lotta, anche dietro le sbarre del carcere? Anche per questo esiste una risposta: “Se mi avessero dato otto anni invece di sedici li avrei scontati, senza scappare […]”….e sì, 8 anni di galera se la fanno tutti invece di godersi il sole e la fiesta brasiliana. Dopotutto sono morti solo due innocenti, 16 anni sarebbero stati un’ingiustizia e quindi…“no”, bisogna assolutamente abbandonare la lotta e rimangano in Italia gli altri a godersi gli anni di piombo!
Come passare il tempo in Brasile? perché si sa, bisogna lavorare per mangiare e così Lollo si scopre grande filosofo e acuto scrittore, nonché statista dotato di spirito: continua ad occuparsi di politica, scrive articoli sul Lulismo, fa il giornalista ed è editore di tre riviste.
Quid plurima? Un pensiero per chi volesse fare il giornalista e lo scrittore, evitando tutte le trafile della sorte...
Il caso della Banelli è molto più delicato. Ci troviamo di fronte ad una mamma preoccupata di dare un’educazione a suo figlio (nato in carcere… come inizio non c’è male!) e che per questo si dissocia dalla lotta armata e tenta di diventare collaboratrice di giustizia. Sembrava non avere avuto molto successo nella sua carriera appena abbozzata, ma dopo un’iniziale condanna a 16 anni e un “no” al programma di protezione, è uscita dal carcere il 20 maggio 2005 agli arresti domiciliari presso una località tenuta segreta per motivi di sicurezza. In quell’occasione, le è stata restituita la "patente" di pentita, prima negata. Motivo? Per i giudici del Tribunale del Riesame "l'esistenza di un figlio nella primissima infanzia, rende inverosimile l'ipotesi di fuga". Cinzia Banelli, non fuggirà, ne siamo certi, educherà suo figlio e, per ora, standone alla decisione della Commissione centrale per i programmi di protezione, non verrà inserita nel programma di protezione.
E il marito?
“Una persona mite e buona”, il “bravo ragazzo” di turno che fa il geologo a Lucca e che per un anno – quello della detenzione della moglie – ha sopportato la tutela delle forze dell'ordine, i giornalisti e anche l’intera popolazione del paese. Quando ha saputo che Cinzia e Filippo tornavano a casa, si è limitato a dire: “Meno male, non dovrò più svegliarmi alle 6 per andare a prendere il bimbo a Firenze”. Ora tutti e tre sono in una località segreta, protetti dalle forze dell'ordine.
Il problema è risolto e la vita può continuare come prima. Mi chiedo, di cosa parleranno a tavola? E il piccolo Filippo?
Nato dopo l’arresto della Banelli, da madre ultraquarantenne brigatista pentita, potrà godere di un’educazione esemplare.
Ma quando sarà in grado di fare domanda, e si sa, i bambini di oggi sono molto svegli, cosa gli verrà raccontato sulla gioventù della madre?

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